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 2017  gennaio 18 Mercoledì calendario

L’avanzata della Cina nel Corno d’Africa

Commercio globale, ferrovie, rotte marittime, navi da guerra, aviazione, soldati. Ecco come si presenta la Cina “strategica” a un orizzonte lattiginoso, con la costa piatta, a tratti sabbiosa, in altri rocciosa e vulcanica, in una natura soffocante e ostile: questa è Gibuti, avamposto sulla rotta del petrolio e della pirateria, con la più alta densità di filo spinato del mondo per chilometro quadrato. A Gibuti si materializzano i piani del presidente Xi Jinping, l’anti-Trump e il difensore della globalizzazione, di fare della Cina una potenza d’oltremare. 
È qui che arriva la ferrovia Addis Abeba-Gibuti appena inaugurata dai cinesi (ridurrà il percorso da tre giorni a 10 ore). A Gibuti Pechino sta terminando a Tadjoura, la prima base militare all’estero della Cina contemporanea che ospiterà fino 10mila uomini tra soldati e civili. Per non sbagliarsi i cinesi, hanno acquistato anche il 25% del porto commerciale, il Doraleh Container Terminal. 
L’avanzata nel Corno d’Africa ha un valore strategico. A Camp Lemonnier gli americani schierano 4mila soldati e fanno decollare i droni per lo Yemen e la Somalia. Gli occidentali qui dispongono di 25mila militari (francesi, italiani, spagnoli, olandesi e anche un contingente giapponese). Per ora la Cina combatte il jihadismo solo nello Xinjiang, patria degli uiguri, musulmani turcofoni, ma l’aumento delle minacce terroristiche in Africa spinge Pechino a consolidare la sua presenza militare. 
Nello Stretto di Bab el Mandeb, la Porta delle Lacrime, passa il 40% del traffico marittimo mondiale e la ferrovia Addis Abeba-Gibuti apre al commercio centinaia di milioni di africani senza accesso al mare. I cinesi costruiranno anche la Nairobi-Mombasa, dove c’è l’unica raffineria dell’Africa orientale, e una linea ad alta velocità con l’Uganda, lo stesso faranno in Tanzania e Zambia.
Gli affari cinesi in Africa sono noti: Pechino è il primo partner commerciale del continente. Ci sono 3mila imprese cinesi e Pechino ha costruito 600mila chilometri di ferrovie e oltre 5mila di strade. La presenza cinese risale agli anni 60, quando Pechino si presentò ai nuovi stati africani in concorrenza con l’ex Urss come portabandiera del terzomondismo comunista “in nome della fratellanza tra i popoli”. Gli slogan, fuorvianti, sono rimasti ma le cose sono cambiate quando è esplosa la crescita di un’economia affamata di materie prime e di terre agricole, e l’Africa è diventata il primo obiettivo di questa avventura. I cinesi assicurano che vanno a investire in regioni rifiutate dagli occidentali. È una mezza verità: Pechino sa che le multinazionali preferiscono non lavorare in Paesi instabili e quando accade vengono inevitabilmente messe sotto pressione da istanze di diritti umani o associazioni ambientaliste, costrette quindi ad abbandonare il campo con l’accusa di alimentare guerre e conflitti. I cinesi, al contrario, se ne infischiano dei diritti umani e le critiche esterne – quelle interne non esistono- vengono bollate come “propaganda degli ex colonialisti”.
Ma la retorica terzomondista funziona sempre meno e Pechino ha cominciato a derogare dalla regola di non ingerenza negli affari interni dei Paesi ospiti. Come tutte le potenze, la Cina ha cominciato a proteggere i suoi interessi economici e gli espatriati (un milione in Africa). Così ha aperto la base di Gibuti e aumentato la partecipazione alle missioni dell’Onu. I caschi blu cinesi sono tremila, la maggior parte nel Sud Sudan dove la Cina controlla produzione petrolifera e pipeline.
L’offensiva cinese è anche culturale. Pechino lavora per migliorare la sua immagine fortemente contestata dai produttori locali irritati per la concorrenza di prodotti cinesi a prezzi stracciati. Sono stati aperti 40 istituti Confucio e il presidente Xi Jinping ha promesso di invitare 100mila cooperanti in Cina e distribuire 18mila borse di studio. I numeri parlano da soli. Nel 15° secolo la Cina era già la “fabbrica del mondo” con il 30% dell’economia mondiale, negli anni60 con Mao, scese sotto il 5%. Oggi rappresenta oltre il 17%, quasi la stessa quota di quella americana. Ma è la sua ascesa militare che preoccupa gli Stati Uniti: nel 2015 gli Usa spendevano per la difesa oltre 500 miliardi di dollari, la Cina era seconda con 250, la Russia assai lontana con 66. Xi Jinping ha annunciato la modernizzazione delle forze armate per diventare una potenza marittima (haiyang qiangguo) e cibernetica. Nel 1405 l’ammiraglio Zheng He disponeva di navi di 130 metri, cinque volte quelle di Colombo, 20 anni dopo vennero distrutte per ordine dell’Imperatore. I cinesi erano già arrivati nel Corno d’Africa, poi tornarono al loro orgoglioso isolamento. Questa volta probabilmente non accadrà.