Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  gennaio 17 Martedì calendario

Alla ricerca del carattere perfetto

Una delle ultime ad arrendersi è stata la tipografia Marchisio. All’angolo tra via Maria Vittoria e via Accademia delle Scienze aveva stampato per più di mezzo secolo i biglietti da visita, gli inviti e le partecipazioni della gente che contava a Torino. Aveva una qualità impareggiabile e una capacità di sintesi ineguagliata: l’invito al ricevimento «Gianni e Marella, in casa» resta una pietra miliare dell’understatement sabaudo. Ma anche Marchisio ha seguito, nel 2002, il destino di migliaia di altre tipografie, falcidiate nell’arco di pochi anni a cavallo tra i due secoli dal dilagare di computer e stampanti. 
Oggi alla qualità si preferiscono rapidità e risparmio, e l’arte della tipografia, una delle grandi eccellenze italiane, sembra avere fatto il suo tempo come il circo, le auto diesel e i telefoni con il filo. Ma non bisogna farsi ingannare dalle apparenze. Quasi di nascosto e spinti da una passione inesauribile, gli ultimi mohicani dei segreti della tipografia tengono duro e attendono la loro rivincita, un risveglio di interesse che potrebbe non tardare ad arrivare. 
A Torino, Emanuele Mensa è docente di Tecniche di Stampa all’Istituto Salesiano Valdocco e da 20 anni colleziona caratteri mobili e macchine tipografiche, per coronare una passione nata quando era ragazzo. È stato lui a rilevare i macchinari e le attrezzature di Marchisio, perché non andassero disperse. «Colleziono materiali tipografici da molto tempo – racconta – ma solo quando sono entrato da Marchisio ho capito che cos’era la tipografia. Non avevano macchine speciali o diverse dagli altri. Erano solo più bravi, avevano portato quest’arte a raffinatezze estreme». Quelle macchine e quegli eleganti caratteri sono ora uno dei punti forti di Archivio Tipografico, lo spazio che Mensa ha aperto a Torino raccogliendo qualcosa da ogni tipografia che chiudeva in Piemonte. Non si tratta solo di preservare il ricordo di un modo antico di fare le cose. Il suo museo è un luogo vivo, nel quale si sperimentano nuove idee utilizzando vecchi sistemi, preservando tradizioni e qualità. Mensa è stupito dell’interesse che l’arte tipografica suscita sui ragazzi, e la spiega così: «Se un quarantenne vede stampare qualcosa con caratteri mobili sa di che cosa si tratta, perché ne ha un ricordo personale. Ma per chi è nato nell’era digitale questa è una specie di magia che viene osservata con meraviglia. Credo che i ragazzi abbiano oggi un po’ di saturazione da computer e telefonini e siano attratti dal lavoro manuale, che stimola invece la fantasia e la creatività». 
Silvio Antiga ha respirato la prima aria di una tipografia nel 1960, come «Apprendista compositore» in una azienda di Montebelluna. Chi respira quell’aria non la dimentica più: un misto di inchiostro, legno, piombo e odore di macchine; un rumore operoso di fondo nel concentrato silenzio degli uomini tipico delle botteghe artigiane. Quell’aria può entrare nel sangue: «A me è capitato proprio questo – dice Antiga -, è nata una passione che non mi ha più abbandonato. I tipografi erano considerati operai, ma operai un po’ speciali, colti e privilegiati, che andavano al lavoro con il giornale sotto il braccio. Non mi piace dire che sono stato un tipografo. Io sono un tipografo, lo si è per la vita». 
Con i suoi fratelli, Antiga ha creato nel 1969 un’azienda, la Grafiche Antiga, che è ai vertici nel mondo per la stampa di qualità. Ce n’è ancora bisogno, oggi che tutto si legge su uno schermo, che carattere e formato si scelgono con un clic, che i libri si stampano con le stampanti per fare più in fretta e risparmiare? «Certo che ce n’è bisogno, perché un buon libro lo si deve annusare, un libro è vivo, respira, dà sensazioni tattili uniche, è un bell’oggetto che possiedi e tieni per te. Abbiamo notato un ritorno di interesse per la stampa di qualità, simile a quello che c’è per le pellicole fotografiche e per i dischi in vinile: spesso buttiamo via tutto solo per poi rimpiangerlo».
In un’ala del vecchio Canapificio Veneto di Cornuda, in provincia di Treviso, i fratelli Antiga hanno creato nel 1995 la Tipoteca Italiana, uno dei più bei musei del mondo sull’arte della tipografia. Ha la più grande collezione di caratteri mobili d’Europa, custoditi in migliaia di cassetti. Un patrimonio raccolto con passione e fatica, scrivendo ben 8.000 lettere a piccole tipografie italiane che stavano per chiudere, invitandole a non gettare via nessuna attrezzatura prima di avere ricevuto una visita. Silvio Antiga ne ha raggiunte da solo 1.700 in ogni luogo d’Italia, raccogliendo caratteri, matrici in rame, punzoni, macchine piane, torchi a leva, platine e fonditrici, oggi restaurati con meticolosa precisione. 
La collezione di Cornuda è la più grande testimonianza di un’arte che rischia di essere dimenticata. Da anni la Fondazione della Tipoteca svolge un inestimabile ruolo di divulgazione attraverso visite guidate e corsi di tipografia sempre più affollati. «Teniamo anche corsi di calligrafia – ricorda Silvio Antiga – proprio nella speranza che un patrimonio culturale non vada disperso per sempre. Io ho 71 anni, sono uno degli ultimi tipografi. Il massimo delle mie ambizioni è riuscire a passare ai giovani l’arte che ho imparato, perché non venga perduta».
Emanuele Mensa e Silvio Antiga saranno domani sera alle 18,30 alla Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli del Lingotto di Torino, per discutere della loro passione con Lucio Passerini, incisore, tipografo e docente, nell’ambito delle «Conversazioni sul collezionismo». Una serata che sembra sul passato dell’arte tipografica, ma forse è sul suo futuro.