La Stampa, 17 gennaio 2017
«Sui ristoranti in casa una legge all’italiana per tutelare le lobby»
«Apprezzo l’intento di regolare il nostro settore – spiega Cristiano Rigon, ceo e co fondatore di Gnammo, il più grande portale italiano dedicato agli eventi conviviali casalinghi –.Forse però sarebbe stato meglio normare a livello generale tutta la sharing economy e poi valutare quali paletti mettere nei singoli settori».
E perchè non è andata così?
«Questa nuova legge è stata molto spinta dalle associazioni di categoria, un po’ all’italiana, a tutela di certe lobby. Cosa che comprendo, anche se io in tutte le sedi ho sempre spiegato che l’home restaurant non fa assolutamente concorrenza ai ristoranti tradizionali. È tutta un’altra cosa a partire dai numeri».
Obiezione principale della Fipe: ci sta bene la concorrenza ma con le stesse regole, a partire dai controlli sanitari.
«Io sui molti punti della legge sono d’accordo, ad esempio sull’Haccp mi sta bene che ci sia della formazione. Ma deve essere declinata in chiave domestica: è inutile insegnare alla signora Maria il corretto utilizzo della cella frigo, che tanto lei non l’avrà mai. Meglio spiegarle come mantenere bene la sua lavastoviglie».
Cos’altro non vi sta bene?
«Il tetto al giro d’affari fissato a 5mila euro, in pieno contrasto con le indicazioni dell’Unione europea che suggerisce di non limitare la sharing economy».
Se si supera questo limite si rientra nel normale regime fiscale...
«Ma se li imponiamo come tetto di fatturato li raggiungiamo abbastanza in fretta e non consentiamo a questo tipo di attività di svolgersi. E creiamo i presupposti perché in molti poi si rifugino nel nero».
Altro che non funziona?
«L’obbligo di comunicare ai comuni l’inizio attività attraverso il meccanismo della Scia. Anche questa è una scelta assolutamente distonica con l’intenzione di normare una attività non professionale».