Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  gennaio 11 Mercoledì calendario

Corsa al mattone e favori agli amici. Così gli istituti sono andati in tilt

MILANO Qualche spunto per la commissione parlamentare che cercherà le responsabilità dei banchieri italiani, che in un decennio hanno imbarcato crediti inesigibili per 200 miliardi, affiora da conti e gestioni degli istituti. Le sofferenze per il 74% arrivano da prestiti a imprese grandi e medie, e di queste circa metà dal passato ballo del mattone tra sviluppi immobiliari, mutui e centri commerciali. Con l’aggiunta di diversi trattamenti di favore ad amici e affini.
Cumulando utili e perdite delle banche capogruppo, nei sette anni 2009-2015 le svalutazioni hanno mandato in rosso per 15,5 miliardi Unicredit, Mps di 13,1 miliardi, Banco popolare di 4,75 miliardi, Vicenza e Veneto banca insieme di 3,4 miliardi. Quasi tutti gli istituti sono ancora alle prese con i crediti concessi largheggiando nel decennio scorso, prima della doppia recessione che ha mangiato un decimo del Pil e il 25% della produzione industriale. Purtroppo ci si misura con la storia: per l’anomalia unica di un sistema giudiziario che impiega fino a sette anni per consentire a chi presta di escutere i beni in garanzia (così le banche hanno in magazzino sofferenze generate del 2010, da allora non smaltite per il blocco del mercato immobiliare), e per norme che privilegiavano le entrate fiscali (solo nel 2013 il governo Letta ha ridotto da 18 a 5 gli anni per dedurre le perdite su crediti, incentivandone l’emersione).
Il principale errore dei banchieri è l’avere premuto sul pedale dei crediti senza cogliere le avvisaglie della crisi creditizia del secolo. Quando nell’autunno 2007 si manifestarono le prime tensioni sul mercato interbancario quasi tutte le banche italiane erano intente a fare volumi, per dimostrare che la strategia delle fusioni tra istituti era azzeccata. Così si sono alzati i rischi e limati i tassi, con spread sotto i 100 punti base su crediti non garantiti; anzi, molte banche locali e popolari hanno spinto sui crediti fino al 2011, per inserirsi dove le grandi si ritiravano (perché il mondo attorno crollava). In questa svista – secondo errore – i banchieri hanno puntato molto sul mattone, componente ciclica dell’economia poco sensibile alla ripresa, perchè non crea domanda interna e risente della caduta dei consumi. «La percezione è che le banche abbiano avuto perdite in particolare su costruzioni e sviluppo immobiliare, finanziati massicciamente prima della crisi 2008 – dice Fedele Pascuzzi, partner di Pwc -. Ma proprio il fatto che le sofferenze siano tanto legate al mattone, e che il mercato immobiliare stia ripartendo dopo anni difficili, induce a ottimismo».
Il terzo errore sono stati i condizionamenti che hanno favorito erogazioni facili ad amici dei banchieri, azionisti, consiglieri. Purtroppo i casi degli immobiliaristi “furbetti” come Ricucci, Coppola, Statuto, Parnasi, Ligresti, Zunino sono una summa degli errori 2 e 3, che hanno lasciato tracce nel bilancio Capitalia, che per un periodo ha costituito i tre quarti delle sofferenze di Unicredit (e ora ripulirà tutto con 13 miliardi di aumento di capitale).
Le maggiori esposizioni creditizie del Monte dei Paschi sono sui treni Ntv, il gruppo Merloni, Sorgenia (società nell’energia controllata da Cir e Verbund), l’immobiliare Sansedoni, Alitalia. I guai li certificò la Bce a fine 2014, nel porre a sofferenza un terzo dei crediti vagliati. La vigilanza incolpò le politiche creditizie aggressive fino al 2010 per realizzare utili che giustificassero l’acquisto di Antonveneta, il “sistema Siena”, in cui crediti isolati andavano a società locali senza garanzie o a holding non operative, e una cattiva qualità dei crediti di Antonveneta (comprata senza perizia e a peso d’oro).
Musica in parte diversa per Vicenza e Veneto Banca. «Qui è diverso che a Siena – dice Fabrizio Viola, nuovo ad di Vicenza che per marzo dovrà individuare il fabbisogno di capitale che serve a fonderla con Veneto Banca – ci sono state cattive erogazioni, e sui finanziamenti per comprare azioni della banca l’analisi creditizia passava in secondo piano, o i successivi rischi di perdite hanno indotto i soci a non pagare». Per rinsaldare il rapporto con i clienti lunedì le due banche hanno lanciato operazioni di ristoro: ieri hanno accettato il bonus in contanti i primi 50 azionisti.