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 2017  gennaio 07 Sabato calendario

«Così si sono divisi i reduci di Charlie Hebdo»

PARIGI Un portellone con tornelli automatici, poi un secondo varco fino all’ascensore blindato, telecamere a infrarossi, porte e vetri antiproiettile, poliziotti con armi automatiche. È il check point della redazione di Charlie Hebdo. Due anni dopo, il settimanale satirico ha organizzato sobrie commemorazioni per ricordare le 12 vittime degli attentati. Charlie ha traslocato in una sorta di fortezza dall’indirizzo segreto, ma continua a provocare con le sue caricature, pubblica una nuova edizione in tedesco.
“2017, la fine del tunnel” è il disegno di copertina di questa settimana, con un uomo che guarda in fondo alla canna di un fucile. La ricostruzione dopo il massacro è stata lunga e tormentata. Gran parte dei lettori di due anni fa, i milioni di “Je suis Charlie”, sono scomparsi. Il numero dei “superstiti” con il Profeta Maometto in lacrime aveva venduto oltre 3 milioni di copie. Oggi il giornale si accontentata di 50mila in edicola e 60mila con gli abbonamenti. Nel frattempo ci sono stati altri attentati in Francia e in Europa. «Abbiamo inaugurato una lunga lista» ricorda il direttore Riss, ferito al braccio dai terroristi. «Eppure siamo diversi – precisa – perché il 7 gennaio non è stato un attentato come gli altri: è un crimine politico». Riss guida una redazione decimata, in cui sono stati uccisi alcuni dei disegnatori più noti come Wolinski e Cabu, e dove ci sono state molte defezioni. Se ne sono andati Luz a Patrick Pelloux, amici fraterni dell’ex direttore Charb assassinato. Ha sbattuto la porta la sociologa Zineb El Rhazoui. Qualche mese fa è partita la disegnatrice Catherine Meurisse. Il giornalista investigativo Laurent Léger, dopo aver guidato un collettivo che ha chiesto inutilmente di far entrare i giornalisti nell’azionariato, è in congedo malattia da oltre un anno. «Quelli di Charlie si sono lacerati su tutto: la linea editoriale, la suddivisione del capitale, l’organizzazione del giornale» racconta Laurent Telo, giornalista di Le Monde e autore insieme a Marie Bordet del libro “Charlie Hebdo, il giorno dopo” che ricostruisce le faide dentro il settimanale. Al centro di questa crudele parabola ci sono i soldi. Oltre 4 milioni versati in donazioni da oltre 84 paesi, devoluti solo qualche mese fa ai famigliari delle vittime. E circa 30 milioni di euro, cifra non ufficiale, ricavata dalle vendite straordinarie che, secondo la direzione, rappresentano il “tesoretto” per garantire il futuro della testata. Riss e il direttore finanziario Eric Portheault avevano promesso di creare una fondazione, poi non l’hanno fatto. Sono azionisti unici e rifiutano di trasformare il giornale in una cooperativa. Gli autori dell’inchiesta sono stati accusati dall’avvocato del giornale di aggiungere “calunnia alla sofferenza”. «Charlie Hebdo è diventato un simbolo della libertà di espressione ma poi trova strano che venga usata sulle sue vicende» risponde Telo. Il medico Pelloux, tra i primi ad arrivare sull’attentato e che ora non collabora più, sorride amaro: «È come se dei militanti vegetariani fossero diventati carnivori».