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 2017  gennaio 06 Venerdì calendario

Pascutti, il più amato il ricordo di Bologna ai piedi del suo mito

«ED EZIO come sta?». Da anni, sotto i portici, la domanda che a un certo punto arrivava puntuale, chiacchierando di pallone, era quella. Perché non se la passava benissimo, Pascutti, lo zio buono e sfortunato di una città intera. Il mito della porta accanto, che chiunque poteva incontrare al bar sotto casa in centro, dove l’ex campione rossoblù sedeva a respirare – ossigeno vitale – l’affetto di passaggio di tifosi e sconosciuti. Ciao Ezio, grande! Come nei bar e nelle trattorie di Napoli la foto di Totò o Maradona alla parete fa parte dell’arredamento, quanto quella di Sordi che addenta il maccarone a Roma, a Bologna nel Pantheon di strada e dei tinelli invece c’è quella di Ezio Pascutti in tuffo angelico – parallelo al terreno con Burgnich aderente come la mantellina di Superman sulle spalle – a incornare un gol all’Inter nel dicembre ’66. Quell’attimo volante, colto dall’obbiettivo di Maurizio Parenti, sublima l’essenza del calcio, al pari della rovesciata di Parola sulle figurine Panini o la borraccia tra Coppi e Bartali, in tutta la sua epica e in tutto il suo eroico incantesimo in bianco e nero. Quella foto storica, che immortala il prodigio sportivo irripetibile quanto uno scudetto vinto oltre mezzo secolo fa, è nell’album di famiglia di Bologna, che nel giorno dei funerali – martedì – per decisione del sindaco Merola osserverà il lutto cittadino.
Le gesta di Pascutti sono entrate nella leggenda e sono rimaste ancor più care ai bolognesi – trascendendo come ogni favola popolare l’ambito sportivo – perché emblematiche di un’epoca aurea difficilmente rivivibile di cui il calcio era solo una delle massime felici espressioni. E a Bologna il friulano Pascutti – 130 gol con la maglia rossoblù in serie A – era rimasto adottato e accudito nella sua parabola che lo ha reso poi ancor più umano. Tanto forte nell’area avversaria, dove dominava con istinto e intuito di razza, tanto fragile una volta uscito dal campo. Se Giacomo Bulgarelli, di travolgenti ironia e acume petroniani, è la bandiera di 108 anni di storia calcistica, Ezio Pascutti – tra i ragazzi del ’64 che conquistarono il campionato – non è stato meno amato. Perché bandiera ancor più sgualcita da tutte le battaglie. «Sapevo che i bolognesi mi volevano bene, ma mica così tanto», si compiacque commosso il giorno del centenario del club quando fu votato come il più benvoluto all time dai tifosi. Pascutti di romanzesco ha avuto anche, suo malgrado, un lungo malinconico crepuscolo in un dopo-calcio fatto di tanti problemi fisici, famigliari ed economici, che hanno finito per renderlo ancora più vicino. Non era uno che vedevi ancora da lontano in tv o in tribuna vip incravattato, comunque sempre abitante dell’empireo, ma lo incontravi appunto al mercato, cercando la frutta più conveniente, e poi a quel baretto, con le stampelle appoggiate al muro e un bianchetto sul tavolino, pronto a raccontare quella volta che tirò un pugno a un difensore russo a Mosca o quella che segnò due gol al Prater con la maglia azzurra.
Stava lì, come un’icona votiva che però, come il Cristo di don Camillo, ti rispondeva sfoderando quello stesso sorriso timido e sornione con cui faceva gol. «Ed Ezio come sta?». Meglio.