Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  dicembre 05 Lunedì calendario

Il sesso spiegato dai cartoon giapponesi

L’autobiografia – ironica – di una generazione potrebbe iniziare con un’infanzia dove, al posto di Salgari e di “Piccole donne”, appaiono Ransie la strega, Sailor Moon e Jeeg Robot. Chi è nato tra i tardi anni Settanta e gli Ottanta del Novecento – complice soprattutto Italia Uno – non può essersi sottratto al mondo degli “anime”, ai protagonisti maschili, femminili o metallici dei cartoni giapponesi. Per questo, un saggio documentato come quello di Valeria Arnaldi, “Corpi e Anime. Nudo ed erotismo nell’animazione giapponese” (Lit edizioni) può somigliare, per parecchi trentenni, a un album dei ricordi. Pruriginoso?
È questo il punto. Se il mondo animato che scorreva in parallelo – quello disneyano – sembrava desessualizzato, affollato com’era (com’è) di “topi in calzoncini”, di zii e zie ben poco sexy, dal Giappone arrivavano ragazze turbolente. O meglio – come dimostra Arnaldi – ingenue e disinibite allo stesso tempo. Disinibite perché ingenue? A ogni modo, se fanno la doccia esposte a occhi indiscreti, lo spirito non è quello da B-Movie con Edwige Fenech. «Magliette che si strappano, micro-bikini che non coprono se non lo strettamente necessario, vapori di doccia sulla pelle calda, la naturalezza di corpi generosi – scrive Arnaldi – che vogliono ma non sanno chiedere e l’irruenza di forme mal gestite che si schiacciano con veemenza contro fisici maschili, pungolandone reazioni e imbarazzi. È una sensualità evidente, più o meno consapevole ma non per questo meno ammiccante, quella che emerge da manga e anime. Una sensualità “bambina”, spesso associata per età, fattezze e anche pubblico, a scenari e immagini adolescenti».
Cari papà e mamme della generazione di mezzo, avreste mai immaginato? L’educazione (involontariamente) sessuale dei vostri figli di fine secolo è passata anche da storie d’animazione che parevano inoffensive. Non riesco a ricordare con quanta consapevolezza percepissi la tensione erotica di certi episodi di Mila e Shiro o di Doraemon, ma il paesaggio che il libro di Arnaldi ci invita a esplorare con lucidità sembra un inno al corpo sciolto. Intanto perché la tradizione spirituale e culturale giapponese non rimuove l’eros ma se ne alimenta; e non può essere casuale che una serie come C’era una volta Pollon, piccola residente dell’Olimpo greco e figlia unica di Apollo, guadagni, in salsa giapponese, un sovrappiù di seduzioni, allusioni, seni nudi, sederi e perfino calze a rete, spacchi e fruste. Non che la mitologia greca sia esente da focose scene erotiche, ma i disegnatori giapponesi ci sguazzano e ne ridefiniscono i contorni “ad altezza bambino”. In chiave giocosa e ammiccante: amplessi convinti non sono rari nemmeno in Candy Candy. Romanticismo sì, ma fino a un certo punto. E se l’amante di Lupin, Fujiko, non fa che immergersi in vasca e insaponarsi, come pure le sorelle ladre di Occhi di gatto, c’è chi osa di più: Georgie – “capelli dorati” nella sigla italiana di Cristina D’Avena – è desiderata e contesa dai due fratellastri. E lei? Scrive Arnaldi: «Vuole Lowell, può averlo. Vuole Abel, è già suo. Vuole Arthur, lo sposerà. E tutto questo passa, nella pienezza dell’atto, per un “consumo” testimoniato dalla gravidanza. Nel mondo di Georgie la carne prende il posto della parola. Il corteggiamento è manifestazione sanguigna e passionale e l’immaginario erotico va oltre le abituali fantasie, inventandone di nuove. E questa “rivoluzione” non nasce nella cultura erotica del maschio, bensì nei nuovi “esperimenti” della donna». Cripto-femminismo a uso delle bambine occidentali? Forse è troppo, ma l’autrice insiste a lungo sulla libertà del desiderio, sulla naturalezza del nudo, su una esplorazione dei sensi che non è associata alla colpa o alla violazione del pudore. Le eroi- ne vivono un’energia corporea a cui non sanno, non vogliono e non devono resistere: i loro poteri, come nel caso di Sailor Moon, c’entrano anche con la carica sessuale. «Nell’anime – ricorda Arnaldi – si fa esplicito riferimento all’isola R-18, “dove possono andare solo gli adulti, dove cose come queste (silhouette di corpi femminili nudi e inginocchiati accompagnano le parole) si fanno tutto il giorno”».
E che dire di Ranma, l’eroe androgino? Nel personaggio ideato da Rumiko Takahashi nel 1987 la fusione tra sessi si traduce nella maledizione-benedizione di una continua metamorfosi: «Ciò che conta è che Ranma possa sperimentare entrambi i generi, maschile e femminile, senza bisogno di chiedere permesso o vincere pudori, semplicemente essendo se stesso». Altro che i poteri di Jeeg Robot! Certo, il quadro degli “influencer” animati di una generazione non è completo senza metallo e razzi. Può venire in aiuto la corposa Guida ai super- robot di Jacopo Nacci (classe, guarda caso, 1975) e appena pubblicata da Odoya: l’animazione robotica giapponese dal 1972 al 1980 è censita con precisione assoluta. E i giganti di metallo sfilano insieme agli eroi che li pilotano. Se gli anime sensuali pongono, più o meno esplicitamente, il tema del desiderio, della sua scoperta, del suo potere, le storie di robot mettono sul tavolo la questione della tecnica. Prendete il capostipite,
Mazinger Z: introduce – spiega Nacci – «una nuova consapevolezza dell’era della tecnica, una razionalizzazione, una riduzione del gigante di ferro a macchina scientifica, inerte e controllabile, progettata e costruita dalla scienza dell’essere umano». Né mancano, perfino qui, le allusioni sessuali – tra cieli “lisergici” e clima bellico. I rimandi alle tragedie del secolo breve sono costitutivi del racconto e i super-robot sembrano andati a scuola da Orwell, Fukuyama o da Emanuele Severino. E se Jeeg Robot finisce per somigliare all’Angelo della Storia evocato da Walter Benjamin, con gli occhi alle macerie del passato, non stupitevi. Aspetta Sailor Moon per uscire – finalmente – dal ventesimo secolo.