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 2016  dicembre 05 Lunedì calendario

«Decido chi farà fortuna in tv. E mi prendo pure le sue colpe». Intervista a Lucio Presta

“Siete dei rompiscatole”. È la voce di Lucio Presta, agente delle star, che si palesa negli uffici dell’Arcobaleno Tre, rigorosamente in total black. Il riferimento è al pressing fatto per l’intervista che segue. Lui è restio e noi, lo ammettiamo, un po’ abbiamo insistito.
Nato a Cosenza nel 1960, cosa guardava in tv?
«Avevo un grande vantaggio: la mia vita era iniziata in salita, quindi da quel momento (la scomparsa della madre dopo il parto, ndr) non poteva che andare in discesa. In tv era facile: c’erano Lassie, Rin tin tin, La freccia nera. Il mio eroe era Zorro. Ogni tanto, grazie ai nonni, pilastri indissolubili della mia infanzia, andavo a letto dopo Carosello e guardavo un po’ della prima serata, in bianco e nero».
Era più monello di adesso?
«Il film Monello ha segnato la mia generazione: eravamo disubbidienti. Comunque sono proprio stronzo, magari fossi solo monello...(ride,. ndr)».
La danza è stata una disubbidienza?
«Certo. Era il ‘75, sono andato a teatro a vedere uno spettacolo di musica sacra con Jon Lei e Flora Torrigiani: la folgorazione. Qualche sera dopo, ero a cena con Jon. Gli ho raccontato del mio innamoramento e mi ha invitato in sala prove. Ho iniziato a studiare 8-9 ore al giorno».
Perché ha mollato?
«Ho capito che senza di me la danza non avrebbe perso nulla e che potevo essere utile all’arte in altro modo. Senza falsa modestia, sono stato il più grande produttore di danza negli anni ’80 in tv: con Franco Miseria, ho portato nomi come André de la Roche, Steve La Chance, Julio Bocca, Daniel Ezralow, Giuliano Peparini».
Ha deciso di produrre Nemica Amatissima. Perché? «Il giusto e definitivo epilogo della mia storia con la danza. Una reunion che solo io potevo organizzare, esserci riuscito mi inorgoglisce: riportare in tv Heather Parisi e Lorella Cuccarini nello Studio 5 di Cinecittà, con Gaetano Castelli alla scenografia, Massimo Pascucci alle luci, Silvio Testi produttore musicale, Marco Salvati, Sergio Rubino, Alberto Di Risio, Massimo Martelli come autori, le coreografie di Veronica Peparini... è una soddisfazione. Io sono il più scarso (ride, ndr)».
Da manager, la prima “assistita” è stata Heather Parisi...
«Mi sono rodato con Manuel Franjo, ballerino venezuelano: un idolo. Dopo, c’è stata Heather e tanti altri: ci sono cascati, hanno creduto fossi bravo (ride, ndr)».
Non avesse fatto il manager, cosa avrebbe fatto?
«Non so. Ho avuto tante vite, non volevo dipendere economicamente da mio padre per questo ho fatto molti lavori, pure il cameriere: qualche anno fa, in vacanza a Maratea, ho incontrato la Contessa Rivetti che è rimasta sbalordita quando le ho raccontato di essere stato uno dei camerieri di suo padre. Pensava la prendessi in giro».
La sua è una storia di riscatto sociale...
«Sono tornato da cliente negli alberghi in cui ho lavorato: una soddisfazione per quel ragazzo che aveva la testa pieni di sogni e casini».
Senza il suo lavoro sarebbe stato l’uomo che è oggi? «Sarei stato migliore probabilmente: avrei potuto esprimere alcuni lati del mio carattere. Da manager ho dovuto imparare a mediare ed essere più riflessivo perché c’è di mezzo la vita degli altri».
Per indole è un istintivo?
«Se mi innamoro di qualcosa il resto si annulla. Ho imparato a saper amare un po’ tutti i giorni, per non rischiare che il fuoco dirompente all’inizio, diventi presto cenere».
Quanto è importante oggi avere un manager?
«Fondamentale: l’artista deve concentrarsi solo sulla parte artistica e qualcuno deve pensare al resto».
Si dice che lei sia un manager atipico...
«Non mi limito ai contratti: costruisco squadre, cerco di allentare la tensione, di attirare le critiche su di me per risparmiarle agli artisti».
Come ha fatto a far diventare i suoi assistiti quello che sono?
«Per diventare qualcuno serve il talento».
E anche un buon manager, suvvia.
«Il manager regola le dosi, l’ingrediente principale ce lo mettono loro. Posso avere una buona idea, ma se nessuno la sviluppa, va persa».
Gli artisti le sono riconoscenti?
«Non devono esserlo. Devono ringraziare solo Dio per il dono che gli ha fatto».
Fa una “selezione all’ingresso”?
«Sì, in base al potenziale che vedo in loro».
Qualcuno che le ha risposto di no?
«È successo, ma adesso siamo insieme, conta quello».
Lei ha detto dei no?
«Sì, non sono in vendita per denari. Ci provano a sedurmi ma in questo sono una ragazza morigerata (ride, ndr)».
Ha tutti gli artisti che avrebbe voluto?
«Ho quelli che mi sono meritato. Con loro ho un rapporto di amicizia: ci vado a pranzo, conosco la loro vita e gli racconto la mia».
Con Paola Perego condivide la vita e si dice abbia favorito la sua carriera.
«Menzogne. Ha sempre lavorato, anche prima di sposarmi. Non l’ho mai favorita, anzi qualche volta l’ho danneggiata. Lo ammetto e me ne dispiaccio molto».
Uscirà il suo primo libro Nato con la camicia...
«L’ho scritto insieme a una persona a cui sono molto legato. Scrive bene ma è riservata. Adoro stare in mezzo alle donne. Non per biechi intenti, sono convinto che mi arricchiscano umanamente. Alle donne della mia vita devo dire grazie: mi hanno reso migliore».
Sanremo: ne ha fatti 5. Cos’è per lei?
«Un vortice di emozioni così forti da non riuscire a spiegarle. Lo guardavo in tv e se mi avessero detto che sarei riuscito a stare tra il pubblico dell’Ariston, avrei risposto: “Dove si firma?”. Essere parte della macchina organizzativa va ben oltre il sogno. Ho iniziato la mia carriera con Vincenzo Ratti che con Sanremo aveva un legame particolare. Forse era già nel mio destino».
È fatalista?
«Credo nel destino: nella vita ogni cosa si incastra perfettamente per farci diventare quello che siamo. È meraviglioso, a prescindere da ciò che accade, bello o brutto che sia».
Potesse tornare indietro non cambierebbe nulla?
«Qualcosina (sorride, ndr). Quello che c’è stato è servito a fare il presente. Del passato conservo ricordi indelebili: odori, sapori, sensazioni».
Perché un manager del suo calibro è attivissimo sui social?
«Non posso andare in analisi tutti i giorni, allora un po’ me la faccio da solo (ride, ndr)».
La tv è cambiata, anche il suo lavoro?
«Molto: non basta più fare gli interessi dell’artista, bisogna costruirgli una squadra forte per valorizzarlo».
Collabora con la Rai e con Mediaset. L’approccio è diverso?
«Dal punto di vista burocratico. In termini di responsabilità no: una conduttrice eticamente scorretta è tale su Rai1 e su Canale 5».
Esiste la tv spazzatura?
«No, dovrebbe esserci anche un pubblico spazzatura (4-5 milioni di italiani) che non esiste. Ci sono programmi bellissimi o bruttissimi».
Per esempio?
«Di Santoro non perdo neanche i neri pubblicitari. Mi piacciono i talk, i film, le serie tv, lo sport».
Per che squadra tifa?
«Roma in serie A. Sono innamorato del Cosenza e guai a chi lo tocca».
La serie tv preferita?
«The Affair, House of Cards e Narcos. Mi affascinano le figure negative: mi chiedo cosa scatti nelle loro menti».
La nuova Rai vuole far rivivere la tv dei vecchi tempi. Giusto?
«A livello professionale sì per la qualità. Le aziende non hanno più il coraggio di sperimentare. Aggiungo con rispetto, che alcuni artisti, una volta diventati “padri della patria”, dovrebbero fare un passo indietro».
È vero che in Rai regna lo strapotere degli agenti?
«Il dg è Antonio Campo Dall’Orto, io non ho potere neanche a casa mia (ride, ndr)».
Campo Dall’Orto può essere l’uomo giusto per innovarla?
«Dipende dalla libertà di manovra e dalla direzione che sceglie di dare all’azienda. La Rai ha bisogno di sentire forte la guida e lui ha uno stile un po’ troppo delicato. Ma attenzione: qualcuno si impone a voce alta, altri lo fanno bene a voce bassa».
A luglio, Ilaria Dallatana ha annunciato l’arrivo di Mammuccari in Rai che però è rimasto a Mediaset...
«Pubblicamente chiedo scusa alla Dallatana. Non entro nello specifico dei contratti: il mio mestiere è fare l’interesse dell’artista, per questo Teo è rimasto a Mediaset».
Per lo stesso motivo Bonolis non è arrivato in Rai?
«Paolo ha un contratto con Mediaset: quando scadrà decideremo cosa fare. Non credo abbia problemi a trovare lavoro».
La cosa più importante della sua vita?
«Beatrice e Niccolò, i miei figli».