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 1999  giugno 14 Lunedì calendario

Dall’inizio dell’anno l’euro non ha fatto che perdere terreno nei confronti del dollaro

• Dall’inizio dell’anno l’euro non ha fatto che perdere terreno nei confronti del dollaro. Rainer Masera, amministratore delegato dell’Imi-San Paolo: «C’è una chiara perdita di fiducia degli investitori. Molti fondi americani che avevano puntato sull’euro sono tornati al dollaro. Lo stesso i giapponesi: il che è ancora più significativo, vista la debolezza dello yen». Antonio Martino, economista e parlamentare di Forza Italia: «Germania e Italia mirano al sollievo momentaneo della svalutazione. Non vedono più in là del loro naso: perché si è fatta la moneta unica se poi non la si sostiene? La realtà è che euro debole e dollaro forte riflettono le rispettive economie: negli Usa gli investimenti aumentano del 5,8 per cento, in Europa dello 0,6. Ma il peggio verrà nel 2002 quando alla moneta virtuale si sostituirà una moneta vera. Avremo due scenari: molti investitori abbandoneranno il dollaro a favore dell’euro; oppure accadrà il contrario. In questo caso la Bce dovrà aumentare i tassi per risollevare la valuta. E questo farà crollare tutte le illusioni di politiche economiche basate sulla spesa».
• Il maggior dubbio che aveva accompagnato la nascita dell’euro riguardava la possibilità di avere un unico tasso d’interesse per undici economie diverse tra loro. «Prima o poi, si diceva, le economie di tutti i Paesi avrebbero finito per convergere e allora non ci sarebbero stati più problemi. Nel frattempo era questione di trattenere il respiro. Ma cinque mesi sono un periodo lungo per stare in apnea e breve per modificare in profondità le economie. Il risultato è che l’euro si è subito trovato in debito di ossigeno. I Paesi critici per la loro divergenza sono Italia e Germania. Insieme rappresentano oltre la metà del Pil di Eurolandia e la debolezza della loro crescita non è di natura solo congiunturale, ma anche strutturale: sono le due economie più cariche di rigidità, con mercati regolamentati e con bilanci pubblici (appena sotto i limiti posti dal patto di stabilità) che non consentono di mobilitare risorse per stimolare l’economia. Su Germania e Italia, inoltre, grava il sospetto di non essere politicamente in grado di attuare quelle riforme strutturali che riducendo le spese correnti liberino risorse per gli investimenti e rilancino la crescita».
• Europa e America. Antonio Martino intervistato da Roberto Seghetti su ”Panorama” del 14 gennaio: «Immaginiamo che nei prossimi mesi e anni in Italia ci siano recessione e prezzi gelati, mentre in Germania l’inflazione faccia di nuovo capolino. Oppure che queste condizioni siano rovesciate. Ebbene, sono situazioni diverse che presuppongono interventi diversi. Ma la politica monetaria europea potrà essere una sola. Allora, quale dei due problemi avrà la precedenza?» [...] Ci sono altre controindicazioni? «Quante ne vuole. Pensi all’occupazione e alla rigidità del mercato del lavoro europeo, in particolare di quello italiano. Niente a che vedere con gli Stati Uniti». E allora? «Un esempio: durante la crisi petrolifera, nei primi anni Settanta, l’aumento dei prezzi del greggio mandò in recessione la California mentre il Texas, che è un fortissimo produttore di oro nero, entrò in una fase di boom economico. Tutto quello che accadde in quel mercato, che ha una sola moneta, il dollaro, fu che oltre un milione di persone perse il posto in California e si spostò a lavorare in Texas. Ora immaginiamo un caso analogo in Europa: quando mai potrebbe avvenire un aggiustamento così forte e in così breve tempo, se qui non riusciamo a far muovere la gente da una provincia all’altra? Si muovono in questo modo gli extracomunitari e non gli europei, come invece dovrebbe essere con il procedere dell’unificazione monetaria ed economica».
• I socialisti governano in tredici dei quindici Paesi che compongono l’Ue. Tony Blair il 2 marzo scorso, a Milano per il Congresso del Partito del Socialismo Europeo: «Abbiamo tagliato le tasse sulle società, ma stiamo anche introducendo un salario minimo. Stiamo aumentando le paghe agli insegnanti, ma anche adottando forme di controllo per verificare che chi chiede di avere sussidi di disoccupazione sia davvero senza lavoro. Crediamo in un Welfare State che dia sicurezza alla gente: ma dobbiamo guardare in faccia la realtà, un alto livello di disoccupazione non dà la coesione sociale [...] C’è un bisogno vitale di politiche strutturali di riforma economica». Oskar Lafontaine: «Sempre meno gente crede a ciò che diciamo quando affermiamo di lottare contro la disoccupazione: lo diciamo da vent’anni e non cambia niente. Quando a scuola uno studente ha brutti voti guarda al vicino di banco e cerca di copiare. In politica economica, i voti sono espressi dalle percentuali dei disoccupati. E per noi il vicino sono gli Usa».
• Riforme. Per il premio Nobel Gary Becker le più urgenti sono tre: «Prima di tutto il mercato del lavoro. Il costo del lavoro è ancora troppo alto in tutta Europa. Poi bisogna favorire la mobilità dei lavoratori nel mercato comune, specialmente tra aree sviluppate e depresse. Penso alla difficoltà a trasferire lavoro dal Nord al Sud d’Italia o tra ex Germania Ovest ed ex Germania Est. Infine, bisogna rendere più facile assumere e licenziare i lavoratori, semplificando le leggi sul lavoro e riducendo le pressioni sindacali».  per questi fattori che l’euro ha avuto un debutto tanto incerto? «La debolezza è il riflesso diretto della difficoltà delle economie europee, specialmente da quando è stata introdotta la nuova valuta. Dall’inizio dell’anno la produzione industriale in area euro è diminuita dello 0,2 per cento; negli Stati Uniti è aumentata del 6,1 per cento. L’unico paese europeo che dà segni inequivocabili di crescita è la Francia: Italia e Germania rallentano. Nessuno di questi paesi ha avviato riforme strutturali del mercato del lavoro. Dove questo è successo i risultati si vedono: in Francia, o in Olanda, che ha ridotto il tasso di disoccupazione attraverso l’incentivazione del part-time». L’euro soffre anche di un problema italiano? «Sì, perché il vostro tasso di disoccupazione è ancora troppo alto. Ma la questione italiana impallidisce di fronte alla gravità del problema tedesco. Nonostante sia la più potente economia europea, la Germania deve ancora riformare il suo mercato del lavoro [...] La verità è che la moneta unica non ha cambiato di un filo i problemi delle economie nazionali».
• La debolezza dell’Euro dipende dall’Italia? Giuliano Amato: «Non è così, la debolezza attuale dell’Euro è dovuta a varie ragioni, congiunturali e strutturali. C’è l’attuale forza dell’economia Usa e l’aspettativa di un aumento dei tassi di interesse americani. E c’è la debolezza della congiuntura in Europa, soprattutto in Germania e in Italia. Credo che presto ci sarà un’inversione di tendenza: nel secondo semestre la congiuntura degli Usa dovrebbe rallentare [...] Capisco che l’Italia venga sempre osservata con un’attenzione particolare visto che abbiamo il debito pubblico più alto d’Europa: oggi è al 118% del Pil. Ma su un punto dobbiamo essere chiari: non c’è stato alcun allentamento del rigore finanziario [...] Abbiamo chiesto un margine in più rispetto al deficit ’99 perché [...] le previsioni ci dicono che il rallentamento dell’economia si sta accentuando: a fine anno la crescita del sistema produttivo sarà inferiore dello 0,8% rispetto a quanto previsto ancora nel gennaio scorso. Poiché sappiamo che meno crescita significa anche meno entrate fiscali, e poiché sarebbe assai pericoloso compensare questo vuoto con nuove tasse quando la domanda è già così debole, ecco la nostra richiesta [...] Io mi auguro che gli altri partner realizzino gli obiettivi iniziali che la settimana scorsa sono stati confermati nonostante il rallentamento della congiuntura non riguardi solo l’Italia. Mi auguro, ad esempio, che la Germania riesca a tenere il deficit entro l’obiettivo dell’1,9 per cento del Pil. E, al di là dei numeri, mi auguro che Italia e Germania riescano insieme a sconfiggere la rigidità dei loro sistemi economici che sono la ragione principale della loro bassa crescita» [...] Insomma lei è fiducioso, il fantasma del ’92 non la turba. «Non lo temo perché quella era un’Italia diversa che non aveva ancora preso coscienza della necessità di rinnovamento. Ricorda cosa diceva Modigliani? Allora affermava che gli italiani dovevano rientrare a far parte del genere umano. Bene, oggi lo stesso Modigliani sa che abbiamo ancora problemi di riforme strutturali ma riconosce che gli italiani sono tornati nel genere umano».