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 2004  agosto 29 Domenica calendario

uando nel 1954 la Sisi presenta il progetto di un sistema di autostrade che unisce Milano a Napoli, Venezia, Torino e Genova, in Italia l’auto è ancora un sogno

• uando nel 1954 la Sisi presenta il progetto di un sistema di autostrade che unisce Milano a Napoli, Venezia, Torino e Genova, in Italia l’auto è ancora un sogno. roba da americani, da originali. La Fiat 600 è un progetto, ben definito solo nella mente di Valletta e nelle chine tecniche dell’ingegnere Dante Giacosa. La leggendaria Alfa Romeo Giulietta Sprint è stata ammirata al Salone di Torino, ma non la si può acquistare perché le linee di montaggio non ci sono ancora, e comunque costa uno sproposito. In quegli anni l’aspirazione dei più è acquistare una Vespa, una Lambretta. Essere degli automobilisti significa appartenere a una categoria guardata a volte con ammirazione, spesso con sospetto. Avere un’auto, per chi non è ricco, significa affrontare un processo sommario da parte di vicini e conoscenti, che il più delle volte concludono che le quattro ruote sono il frutto di attività losche come la borsanera, o il contrabbando. Eppure il progetto della Sisi, una società che dietro l’acronimo nasconde Fiat, Pirelli, Eni e Italcementi, non cade nel vuoto. anzi il primo passo di una strategia avvolgente che permette al governo di mettersi in moto. Tutto il progetto è in effetti poco di più che un segno di matita sulla cartina, ma permette al governo di intervenire senza esporsi troppo. Così nel 1955 Giuseppe Romita presenta in Parlamento il disegno di legge per il rinnovamento della rete autostradale. A fiancheggiare e spronare tutto il movimento un giornale che nasce nel 1956 e diventa in un lampo molto influente: Quattroruote. continua a pagina 2
• La sisi In questo strano mix ognuno ha un interesse legittimo nella realizzazione della rete autostradale. Quello di Fiat, Pirelli, Italcementi e Eni-Agip è tanto evidente che diventa inutile approfondirlo. La classe dirigente della Democrazia cristiana intuisce che se vuole mantenere il potere e il consenso, dopo aver estromesso socialisti e comunisti dal governo, deve creare ricchezza e ridistribuirla. Un obiettivo da realizzare puntando sulla classe media che, in breve tempo, viene messa nelle condizioni di acquistare, magari a costo di cambiali e sacrifici, beni di consumo che fino a allora erano accessibili solo a una fortunata minoranza di italiani. così che auto, elettrodomestici, vacanze, telefono cominciano a entrare nelle case. l’uomo giusto Dunque Stato e grandi industrie appoggiano in pieno l’autostrada, ma per realizzarla in tempi brevi ci vuole uno sforzo titanico. Certo, spaventano le difficoltà tecniche, come l’attraversamento degli Appennini, e spaventa il costo complessivo dell’opera. Però quello che fa passare le notti in bianco a Fanfani e colleghi è altro: li terrorizza quel garbuglio di competenze, regolamenti locali, campanilismi, che può bloccare ogni cantiere per anni. Dato che un modo ortodosso per sbrogliare questa matassa non c’è, o non viene individuato, si decide di scavalcarla, affidando la direzione di tutta l’impresa a un uomo abile e spregiudicato, che conosce le trappole del sistema e sa come evitarle. Quest’uomo si chiama Fedele Cova e a lui viene affidata, nel luglio 1956, la neonata Società Autostrade. Cova è un ingegnere industriale e da anni ha ruoli di direzione all’Iri, di cui l’Autostrade fa parte. Prima ancora ha diretto cementifici. Ha una cinquantina di anni e grande esperienza: si è laureato poco più che ventenne e a venticinque già dirige la Società Calce e Cementi Bellunese. Ma per ricostruire il personaggio più che il curriculum, peraltro eccellente, sono più adatte le pennellate di colore. un golfista e un appassionato sciatore, quando in Italia gli unici sport conosciuti sono il calcio e il ciclismo, spesso è al volante di Maserati e Ferrari, quando per gli altri boiardi l’auto è una cosa blu con un autista al posto di guida. E poi ha un metodo di procedere particolare in un paese abituato alle liturgie più complesse, che spiega così, nel novembre 1963, a Quattroruote: «Ho agito sempre come meglio ho creduto, pronto a discutere. Dopo, a fatto compiuto». Appena incaricato, Cova va un paio di mesi in America a vedere come sono fatte le highway. Torna con le idee chiare e procede con i lavori. Va avanti metro per metro, senza preoccuparsi se manca un permesso, se il tracciato definitivo non è mai definitivo, se sopra di lui molti minacciano di farlo fuori. Il motto «Si è sempre fatto così» che ha guidato le grandi opere statali fino a allora viene continuamente disatteso, con grande indignazione degli addetti ai lavori. Biasimarlo è difficile. Lui vuole un’autostrada moderna che unisca Milano a Napoli, e non è disposto a cedere su nulla, né di accorciarla di un solo chilometro.
• Mille problemi Le prime furibonde battaglie sono con l’Anas. Motivo: i paracarri. Cova sulla sua Autostrada del Sole non li vuole, l’ente strade invece li ritiene indispensabili, anche se non sa spiegare a cosa. Si discute per settimane, poi il presidente della Società Autostrade trova la soluzione: Dice all’Anas che li metterà e non lo fa. l’uovo di Colombo. Con l’Anas ha trovato il metodo per andare avanti. Dice sì a tutto e poi fa di testa sua. Quando l’autostrada sarà finita, quelli dell’Anas potranno sempre protestare, nessuno glielo vieta. Ma a fatto compiuto. Così dal tracciato spariscono le case cantoniere («Ometti con una pala, un secchiello di ghiaia e uno di bitume non servono per riparare l’autostrada») e vengono sostituite da grandi centri di raccolta dei mezzi di manutenzione, raggruppati ogni 150-200 chilometri. Tali e quali a quelli visti in California. Persino sui benzinai è scontro. Cova vuole aree di servizio moderne, separate dalla sede stradale, capaci di ospitare sì le pompe ma pure bar, ristoranti, gommisti. Quelli dell’Anas lo prendono per un pazzo visionario. Per loro le classiche pompe a lato della carreggiata sono l’unica soluzione immaginabile. Del resto in Italia alcune autostrade, come la Milano-Laghi c’erano di già, e così erano fatte: una corsia per senso di marcia con piccoli distributori ai lati. Erano state costruite durante il fascismo, anzi, secondo l’Enciclopedia Italiana (edizione 1930) «L’autostrada è una creazione assolutamente italiana, dovuta all’iniziativa dell’ingegnere Piero Puricelli». Beh, l’estensore della voce è proprio Puricelli, ma quelli dell’Anas non vedono che motivo ci sia di cambiare quanto fatto dall’inventore. Lo sguardo di Cova, invece, guarda molto più in là, e vede un’Autostrada del Sole a due corsie più una d’emergenza, con un ampio spartitraffico centrale e aree di sosta attrezzate. Un’autostrada dove guidare è un piacere, dove i camion possono correre da nord a sud e da sud a nord portando merci e ricchezza, senza mai arrancare in prima o in seconda ridotta sulle rampe di una Futa o di una Raticosa. Un’autostrada su cui i turisti stranieri scivolino senza accorgersene fino nel Mezzogiorno, portando valuta pregiata nelle aree depresse della nazione. Fatto sta che il 19 maggio 1956 il presidente Gronchi posa la prima pietra dell’autostrada a San Donato Milanese. Il tracciato definitivo (o quasi) è opera del professore Francesco Aimone Jelmoni e già nel luglio 1957 l’intero percorso tra Milano e Firenze è stato appaltato. Inoltre, con una mossa astuta, vengono appaltati pure i chilometri del tratto Napoli-Capua, in modo che per i politici fosse meno facile fare un passo indietro e accontentarsi una volta che il nastro d’asfalto fosse giunto a Roma. I lavori iniziano e, com’era prevedibile, le grane sono all’ordine del giorno. La prima riguarda l’attraversamento da parte dell’autostrada del canale navigabile Milano-Venezia. O meglio, l’attraversamento di quello che è il tracciato previsto per il canale navigabile, un’opera ideata nel 1910 e di cui devono ancora inziare i lavori, anche se alcuni terreni sono già stati espropriati. La Società Autostrade cerca un accordo: «Noi costruiamo l’autostrada, poi, quando sarà realizzato il canale, faremo il ponte». L’ente del porto fluviale di Milano, invece, vuole subito il ponte, poi, quando sarà, ci farà passare sotto il canale. Cova risolve con il solito metodo. Fa finta di nulla, e fa bene, visto che il porto fluviale di Milano non è ancora stato realizzato. Il primo tratto dell’autostrada dei Laghi (Milano-Varese) è stato inaugurato il 21 settembre 1924. Il secondo il 28 giugno 1925
• Il primo tratto A colpi di decreti prefettizi per gli espropri e di turni di lavoro spalmati sulle 24 ore nel dicembre 1958 viene aperto il tratto Milano-Parma, con l’esclusione del ponte sul Po, un’opera complessa che viene completata in un secondo tempo, il 15 giugno successivo. Il 15 luglio 1959 si inaugura il casello di Bologna, e sono già aperti 33 chilometri tra Napoli e Capua. L’Autosole esiste. Nei mesi successivi si lavora come pazzi per unire Firenze a Bologna. Sono da realizzare 90 chilometri su un terreno aspro, con 24 gallerie e 67 viadotti. La tratta viene aperta già nel dicembre 1960, e la fretta - denunciano i sindacati - è costata la vita a quindici operai e oltre 3000 infortuni. Nonostante tutto è un grande successo. La nuova autostrada non sostituisce le altre strade. tanta la differenza che si può dire che crea un nuovo modo di viaggiare. Ora il più è fatto. Da Firenze a Capua il tracciato è meno complesso. I mugugni arrivano soprattutto da Siena e Perugia, escluse dal tracciato autostradale per favorire Arezzo, città natale del potente Fanfani. In quel tratto c’è addirittura una mitica ”Curva Fanfani”, che individua la deviazione imposta dal ministro Dc. Il 4 ottobre 1964, il giorno di san Francesco, patrono d’Italia, viene aperta la Milano-Napoli. La cerimonia, in diretta Tv, viene chiusa da Aldo Moro, il cui discorso breve e chiaro viene preso da Pasolini come esempio della deformazione del linguaggio che la televisione impone ai politici. C’è l’autosole, non gli automobilisti Nel 1964 gli automobilisti italiani non sono più un manipolo, ma un esercito. La Fiat 600 e la 500 vanno a ruba: per averle bastano un pacco di cambiali e la patente di guida. Chi ha più soldi può scegliere nella gamma Lancia, o Alfa Romeo, che propone auto che non hanno eguali al mondo per prestazioni e raffinatezze tecniche. Eppure l’Italia è per molti aspetti un Paese automobilisticamente molto arretrato. Sull’autostrada le panne sono numerosissime. Tanti restano senza benzina, oppure fondono il motore perché partono a tavoletta senza controllare il livello dell’acqua, o quello dell’olio. Gli pneumatici, in genere, vengono sostituiti solo quando dalla gomma consunta appaiono le tele della carcassa, la manutenzione, per micragna e distrazione, è sempre sotto il livello minimo indispensabile. Inoltre i meccanici spesso sono ex riparatori di biciclette, e hanno nei confronti della meccanica un atteggiamento che oscilla tra l’ignoranza e la superstizione. Negli stessi anni in cui in Svezia si rendono obbligatorie le cinture di sicurezza e compaiono i primi autovelox, in Italia viene varato un nuovo codice della strada che è già vecchio quando vede la luce: dedica articoli su articoli ai veicoli a trazione animale e vieta gli indicatori di direzione sulle moto, prevede il limite di velocità nei centri urbani ma non sull’autostrada e non rende obbligatoria l’assicurazione dei veicoli. Non ci si stupisce dunque se gli incidenti sull’Autosole sono tanti, e gravi. La causa è la leggerezza e l’inesperienza di guida. Alcuni si fermano e attraversano la strada a piedi, altri fanno inversioni a ”U”, quasi tutti viaggiano a cavallo della striscia centrale. Chi ha un’utilitaria ha come aspirazione quella di rallentare con ogni mezzo chi possiede le sfuggenti fuoriserie, chi ha una Ferrari pretende che al suo sopraggiungere le famigliole sulla 500 gli facciano strada anche a costo di buttarsi sulla corsia d’emergenza. Tra questi due estremi si crea un universo leggendario. Nel tratto tra Piacenza e Bologna una 500 marziana ingaggia e vince mirabolanti sfide sul filo dei 200 orari con Porsche e Maserati. I proprietari dei blasonati coupé scrivono ai giornali lettere indignate, vogliono che l’onta del sorpasso venga lavata, visto che loro non ci sono riusciti, dall’ordine costituito. Alla fine su Quattroruote un trafiletto informa che il terrore dell’autostrada è stato arrestato in un agguato teso dalla stradale. Il vendicatore delle utilitarie è un meccanico di Reggio Emilia, che nella sua piccola Fiat ha montato il motore di una Panhard Tigre e poi l’ha elaborato: il risultato è un microscopico bolide da 210 km/h. Dall’altra parte della barricata c’è, per esempio, il ragioniere Palmerini, citato da Enrico Menduni nel suo saggio L’Autostrada del Sole. L’uomo aveva come hobby quello di far bollire le 600. Come? Semplice: procedeva lentamente sulle rampe appenniniche dell’Autosole con la sua Giulietta, in attesa di una preda che cadesse in trappola. Come una 600 gli si affiancava per superarlo affondava il piede sull’acceleratore quel tanto che bastava per non farlo avanzare oltre la sua portiera. Settanta, settantacinque, ottanta. Le due macchine procedevano appaiate per chilometri di falsopiano in lenta accelerazione. Nessuno guadagnava o cedeva un metro. L’epilogo era sempre lo stesso: il motore della Fiat sotto sforzo faceva bollire l’acqua, il tappo del radiatore saltava e con una scia di fumo bianco dalla coda, come uno Spitfire sui cieli della Manica, l’utilitaria perdeva colpi e si doveva fermare. Palmerini, che aveva mantenuto lo sguardo fisso davanti a sé, dava un rapida occhiata nel retrovisore, constatava l’abbattimento del nemico e tornava a casa soddisfatto.
• Le nuove cattedrali del consumo Ma oltre i record da casello a casello, il cane a sei zampe migliore amico dell’uomo a quottruote e le 600 da abbattere c’è dell’altro. Negli anni Sessanta la fitta ma sottile rete metallica non divide solo l’autostrada dalle altre strade, divide l’America dall’Italia. Intorno a quel largo nastro d’asfalto che da Milano arriva a Napoli ci sono cose che gli italiani non hanno mai visto, se non, appunto, nei film americani. Le aree di servizio e gli autogrill colpiscono profondamente i primi clienti. Innanzitutto l’architettura. La maggior parte di questi nuovi ristoranti sono costruiti a ponte, di vetro e acciaio come astronavi, e si mangia guardando le auto che sfrecciano a pochi metri. Per arrivare in sala si devono passare padiglioni di peluche, radioline, palloni, caramelle, tutti colorati, tutti asettici, impersonali. Sono uguali a Caianello come a Legnano, e questo da un’emozionante aria di extraterritorialità all’autostrada. Un luogo dove le beghe di campanile sembrano lontane migliaia di chilometri. Non come adesso che in ogni area si fa sfoggio dei prodotti tipici del luogo. Infine si va a mangiare. E tutto è preparato seguendo le regole certissime della buona alimentazione e dell’igiene (che in seguito si riveleranno certissimamente sbagliate). Le sale gravide di profumi e calda umidità delle trattorie, quelle sale, nelle quali a chi entra si appannano gli occhiali, sembrano antiche come le stazioni di cambio dei cavalli. Là cameriere materne, qui hostess in divisa algide e sorridenti, col rossetto e le unghie rosse; là fettuccine e lasagne, qui piatti dai nomi esotici e affascinanti: prosciutto di Praga, fesa di tacchino arrosto, purè di patate. Così, dopo roast beef e crème caramel, posato il vassoio del self service, si torna in macchina con la vaga vertigine di essere stati in America. Ci si sente, forse, protagonisti di una modernità che, in attesa del 2000, tutti percepiscono imminente. Così le 127, lanciate sulla riva dei 140 orari sul nuovo asfalto che unisce Napoli a Milano, si scoprivano parenti dello Sputnik. Andrea greco
• Fonte inesauribile di notizie e curiosità sono i numeri di Quattroruote usciti in quegli anni. Nelle pagine del mensile, infatti, si riverberano le aspettative e le manie dei nuovi automobilisti, le battaglie per le nuove autostrade, le polemiche contro il caro benzina. Il mensile di Gianni Mazzocchi univa alle prove delle vetture di produzione una divertente ”missione” didattica. Spiegava alle donne come vestirsi in auto, agli uomini come aggiustare la propria Fiat 600, alle coppie come appartarsi in auto, eccetera. Numero dopo numero Quattroruote diventava una sorta di zibaldone dei motori, dove i lettori potevano trovare le notizie più svariate, e orientarsi nel fantastico e inesplorato mondo del volante.
• Tra le 483.350 lire dilazionabili della Fiat 500D (modello con tetto apribile) e i 12 milioni e mezzo in contanti necessari per mettere nel garage una regale Rolls Royce Silver Cloud III, con il frigobar di radica all’interno e lo Spirit of Ecstasy impettito sul radiatore a forma di Partenone, c’è tutto il mondo degli automobilisti. Siamo nell’ottobre 1964. Sul listino del numero di Quattroruote di quel mese ci sono 58 marchi, 14 italiani e 44 stranieri. Oggi ventisette non esistono più. Le spider Triumph, le squadrate Simca, le abominevoli Nsu Prinz rombano solo nei ricordi e nei box di qualche appassionato. Ci sono già Ferrari che superano i 250 orari, ma per i tachimetri dei comuni mortali la tacca dei 150 resta in genere un miraggio. E poi a tradire l’ottimismo e l’ingenuità del tempo ci sono gli accessori più improbabili: biscotti dell’automobilista al triplo burro da tenere sempre nel cruscotto, pazzeschi seggiolini per bambini (si chiamavano sinistramente ”pendolini”) che in caso di incidente catapultano il pargolo dritto dritto sul parabrezza, guanti traforati per la presa sicura nella guida sportiva, eccetera. Persino lo stesso Quattroruote ogni tanto prende delle clamorose bufale. Consiglia di bere birra prima di mettersi alla guida, attende assai prima di ammettere l’utilità delle cinture di sicurezza, consiglia a chi è stanco morto di sciacquarsi la faccia, fare due passi e rimettersi al volante, attacca duramente le corsie preferenziali destinate ai mezzi pubblici. Sono però questi i limiti inevitabili di una crescita tumultuosa: le immatricolazioni tra il 1954 e il 1964 si quintuplicano e al volante cominciano a sedersi le donne, con tanto di scandalo dei benpensanti di allora.