Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 1996  novembre 11 Lunedì calendario

Dizionario storico del lessico erotico italiano

• Cazzo. «La nostra lingua ha vocaboli di espressività impareggiabile: la stessa voce cazzo merita tutta la fortuna che dalle parlate dell’Italia centrale le ha permesso di imporsi sui sinonimi dei vari dialetti. Anche nelle altre lingue europee mi pare che le voci equivalenti siano tutte più pallide. Và dunque rispettata, facendone un uso appropriato e non automatico; se no, è un bene nazionale che si deteriora, e dovrebbe intervenire ”Italia Nostra”» (Calvino, Parolacce, 304). L’etimologia del fortunatissimo termine è tuttora controversa. Prati, ”Vicende”, 191-192, partendo dal passo di Rustico di Filippo, lo fa derivare da cazza, ”mestolo”, con cambio di genere conseguente al riferimento al genitale maschile. Il ”Dizionario Etimologico Italiano” di Battisti-Alessio (Barbera 1968), invece, lo collega al greco akàton, ”albero della nave”. Più recentemente Crevatin ha proposto la derivazione da oco ”maschio dell’oca”, con l’aggiunta del suffisso spregiativo ”azzo e l’aferesi della vocale iniziale. Il Dizionario etimologico della Lingua Italiana di Cortellazzo-Zolli (Zanichelli, 1979-88) propende per questa ultima ipotesi in considerazione del fatto che in alcuni dialetti oco e oca indicano il membro.
• Fica. L’uso metaforico di fica, che, è già documentato in Aristofane (Pace, 1350) e si basa sulla somiglianza tra il frutto aperto e l’organo sessuale femminile, presenta un retroterra simbolico assai complesso. La foglia che copre le pudenda di Adamo ed Eva caduti nel peccato è appunto di fico (Genesi, 3,5). Il legno di fico era inoltre usato per scolpire forme falliche presso i greci (Borneman). Sempre nelle civiltà antiche si ritrova il frutto associato a numerosi riti della fecondità. Nella lingua italiana, l’assoluta e inconsueta prevalenza del maschile per indicare il frutto (di contro alla serie femminile albicocca, mela, pesca, ecc.) è con ogni probabilità da attribuirsi alla precoce specializzazione e all’ampia diffusione in senso traslato della forma femminile: come sembra indirettamente confermare il limitato successo (anche in senso cronologico) dell’uso metaforico del maschile per indicare la vulva o, ancora più raramente, il pene. Nell’attuale lingua d’uso si è persa da parte dei parlanti la consapevolezza dell’originaria valenza metaforica, e il termine è avvertito come crudamente descrittivo e volgare. Alla metafora sono consacrati un intero poemetto giocoso (La Ficheide di Francesco Maria Molza) e un burlesco e altrettanto equivoco commento a tale poemetto (Il commento di Ser Agresto da Ficaruolo di Annibal Caro). Nell’Italia settentrionale è diffusa soprattutto la variante figa, con sonorizzazioni della palatale. Analoghe metafore sono presenti in taluni dialetti, come testimonia il calabrese bifaru, che indica propria una qualità di fico che matura dopo la raccolta. Il francese fiuge, secondo Guiraud, sarebbe importazione dallitaliano. «Essendosi avenuta a bellissimo e grosso piede de fichi pagnottari, volse da lui aiutata montarvi suso a ogni modo, e così fece; e mentre, dalla bellezza de’ frutti invittata, disavedutamente si rivolgea, non so come tra’ verdi rami con la veste impacciossi, sì che Gabriotto, che di sotto stava con la bocca mezza aperta, aspettando s’alcun ne cadea, e con Vannozza brontolava che non gli faceva quella parte ch’egli arrebbe voluto, puoté agevolmente vedere quant’ella di quella cosa abundasse, dal dolce sapor di cui tinta, era su l’albero salita» (Molza, Novelle).
• Genesi. «Se il chiavare non fosse cosa più importante della vita, la Genesi non comincerebbe di lì» (Pavese). «E voi... non conchiudeste che il più bel segno che possa aver una femina che il suo amante la ami, è che la tenghi di continovo chiavata?» (Doni); «Che fatica, però, fingere di essere la madonna mentre l’uomo che ami ti sta chiavando» (Moravia); «Giust on mes fa el ven chi, el me sara dent/ e el me dis ch’el gh’ha voeuja de ciavamn; / voo sul lecc: me mett lì insci on poo arent / e poeù, paffeta, el fa per inculamm; / mi alora streng el ghicc, dagh on button, / e digh... Ovej! coss’hin sti pretension!» (Porta); «Dopo colezione, il Parodi, trattala in disparte e mostrando vaghezza di chiavarla a pescipècora, colse il destro; e le schiaffò, le innestò l’asta nel buratto» (Imbriani).
• Ditalino. «Padre mio, padre mio! Presa sono dal desio; / ho già un dito che fa male / per l’abuso del ditale» (Ifigonia)
• Raspone. «La mattina appena desto, me lo meno lesto lesto, / poi mi sparo, a colazione, qualche rapido raspone; / quattro seghe a mezzogiorno, non fa male per contorno» (Ifigonia).
• Masturbarsi. «C’era in qualche piega della personalità o anche solo in un angolo della figura, un ombelico, un sentimento che permettesse di nominare con un solo nome la signorina composta, riservata, stimata, religiosa e la Menade che si masturbava, distesa per terra davanti allo specchio, sollevando il bacino affinché potessi veder bene il sesso spalancato?» (Tussanti).
• Parole. «Non v’ha tratto d’oscenità..., non v’ha laido termine, non v’ha modo di parlar disonesto, proprio o figurato, scoperto o coperto, che non sia stato fedelmente raccolto e messo a registro» (Vincenzo Monti).
• Pompino. "Alla luna. O graziosa luna/ e pensar che una volta le soprano / facevano il loro pompino / al pompiere di servizio, fra le quinte, / gargarismo, e poi via, voce d’angelo” (Arbasino).
• Sega. "Barzelletta da Modit: ”Signorina, quanto costa fare l’amore con lei?”, ”Un milione”, ”Oh, la vacca, così tanto? E un pompino?”, ”Mezzo milione”, ”Ma è cara, da matti! E una sega?” ”Una sega due milioni” ”Due milioni una sega?” ”Eh, ma è fatta a mano, sa?”" (Aldo Busi).