Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2004  agosto 29 Domenica calendario

Non erano poche le donne italiane che scrivevano a Benito Mussolini

• Non erano poche le donne italiane che scrivevano a Benito Mussolini. Donne di ogni estrazione sociale, contadine, massaie, sarte, insegnanti, che lo elogiavano, gli chiedevano aiuto, gli offrivano figli, gli facevano proposte di matrimonio. Fin qui nulla d’insolito, qualsiasi dittatore che si rispetti trova sempre qualcuno disposto a idolatrarlo. A stupire è piuttosto il tono delle lettere che il capo del regime iniziò a ricevere dopo la promulgazione delle leggi razziali nel 1938: Mussolini non era più soltanto il Duce, ma anche una sventura, un incosciente, un infame. Capire l’ampiezza del fenomeno è assai difficile, tuttavia queste lettere riflettono l’andamento del consenso che il regime riscuoteva presso la popolazione femminile. Consenso che le persecuzioni e i primi bombardamenti sulle città fecero crollare definitivamente.
• il volo (voluto) dell’aquila [...] Vi state circondando dell’Italia abituata a non esser di nessun partito tranne poi batter le mani al vincitore. [...] Vi ricorderete che a Udine, nel discorso che avete tenuto tempo addietro per l’adunata dei combattenti del fascio, un’aquila volò a lungo sulla piazza dove stavate parlando. Tanto che, il giorno dopo, furono molti a paragonarVi sui giornali a «aquila che sovra gli altri vola». Ora debbo dirVi che quel rapace non venne affatto dai massicci alpini per volteggiarVi maestosamente sulla Vostra testa. Ben diversamente era tenuta in gabbia, ormai da più di un anno, nel giardino del dottor F. B. di Palmanova. A questi fu chiesta da alcuni squadristi che arrivarono anche a minacciare il professionista pur di convincerlo, a pochi giorni dalla Vostra venuta, a cedere l’aquila [...]. Portata nottetempo in un’abitazione antistante piazza Garibaldi, venne liberata proprio mentre Voi iniziavate a prendere la parola. [...] Chi Vi ha mentito ieri così stolidamente, Vi ingannerà certamente anche domani. Raffaella T. Udine, settembre 1925
• la di lei firma Onorevole Duce, desidero tanto avere una fotografia Sua con la di Lei firma. Me la manda? Ho una grande devozione per Lei. Distinti saluti. Florina D. Calci (Pisa), 20 ottobre 1929 continua a pagina 4
• segue dalla prima vero amore Duce, v’ho visto ieri nella tumultuosa visita che avete reso alla nostra antica città. Ho incrociato il mio sguardo col Vostro: Vi ho detto ammirazione, devozione, rivelato i miei sentimenti. Certo, in seno mi batte un cuore e non una spugnaccia annegata nella sugna come a quei filari di donnette che V’hanno accolto in piazza quasi mettendo in pericolo la Vostra vita. Arrivare a spezzare i vetri della Vostra vettura pur di toccarVi: zotiche assassine, come le odio! Fino alla Vostra venuta in città ero la donna più infelice del mondo. Malmaritata con un uomo freddo come un canapo stretto alla gola, e di tanti anni avanti a me, temevo di non conoscere più, nella vita, l’amore. Ora so che Vi amo. Dai giornali leggo che più che vivere Voi levitate: all’Italia date tutto e così non mangiate, non bevete, non dormite. Ebbene levito anch’io: da quando V’ho visto anch’io non mangio, non bevo e non dormo. Ieri ho corso tanto per non perderVi ai miei occhi, mi sentivo morire e nel frattempo, prima di perdere i sensi, ho saputo che Vi avevo raggiunto dentro il Vostro cuore: me lo dice l’espressione caldissima con cui mi avete guardato prima che mancassi. Or qui, in terra di Siena, c’è un fiore che attende d’esser colto. Non lasciatelo sfiorire perché, se V’accosterete, scoprirete tutto un giardino appassionato, devoto, discreto. Michela C. Siena, 14 dicembre 1925
• voi che dall’alto ci guardate (...) Sono figlia di madre nubile e mia madre, morta lo scorso anno per tubercolosi, non ha mai voluto dirmi il nome di mio padre. (...) Così di mio padre so solo quanto una volta lei ebbe a dirmi sotto il giuramento di non dirlo mai a nessuno: ma Voi che dall’alto ci guardate potete anche sciogliere il mio giuramento e ascoltando quanto sto per dirVi farmi incontrare con l’uomo che mi chiamò al mondo (...). Mio padre era un appuntato dei reali carabinieri in servizio, dal 1908, presso la stazione dell’Arma di Legnano. Poco dopo la mia nascita (...) i superiori decisero il suo trasferimento che alfine venne improvviso alla vigilia della guerra di Libia (...). Di quest’uomo io non so né il nome né il cognome (...). Voi potete certamente, comandando su tutti, rintracciare chi era e dove ora sta prestando servizio. Vi giuro che non scombussolerò la sua vita. Non pretenderò, una volta che mi direte segretamente il suo nome e cognome, niente da lui. Gli manderò solo la mia foto, quella in cui sembriamo due gocce d’acqua, e la mia firma sotto: tua figlia. Marta L. Legnano, 6 marzo 1932
• vietato umettare Duce, poiché è universalmente nota la sollecitudine con cui vegliate sulla salute del Vostro popolo, in particolare della gioventù che cresce, mi rivolgo a Voi perché sollecitate ogni provvedimento ad apporre nelle scuole e ogni direttore di biblioteca a affiggere nelle sale di lettura cartelli in caratteri ben distinguibili con la scritta «Non umettare le pagine». (...) Centinaia e migliaia di persone si passano così l’una all’altra bacilli di tifo, di tubercolosi, di difterite. La rivoluzione che avete voluto può ben esplicarsi anche nel cambiamento di abitudini disdicevoli e, sicuramente, dannose alla salute pubblica. Una sola Vostra parola può più di mille parole dispensate da una povera ma volenterosa insegnante (...). Mafalda S. Mel (Belluno), 7 novembre 1933
• elisir di lunga vita Duce, mi giunge come visita dolcissima in questo mio centesimo compleanno il Vostro telegramma augurale di cui godo la lettura senza neppur dover inforcar lenti di sorta (...). Posso contraccambiare umilmente augurandoVi a mia volta anche Voi, per il bene dell’Italia nostra, poter un giorno, per fortuna assai lontano, festeggiare i Vostri cento anni in piena salute e felicissima serenità? (...). Ogni vostra giornata sarà più lieve se, prima di prender riposo sorbirete un bicchierino di finissimo ratafià d’uva bianca, come da ottant’anni ormai ho preso abitudine di fare (...). E poiché il ratafià più invecchia e meglio si depura Vi faccio pervenire quale omaggio di una centenaria una bottiglia gelosamente conservata (...) che preparammo, col marito mio, il giorno in cui Roma si fece capitale. A donna Rachele che tutti sappiamo all’economia della casa bene attenta, mi permetto altresì di trasmettere la ricetta perché in futuro Vi possa preparare del vero ratafià nello stesso modo che seguii allora (...). Carmen G. Rapallo, 3 ottobre 1934
• come gesù... Duce, in questo giorno della mia prima comunione il mio pensiero si rivolge a Voi che siete da me considerato un secondo padre. Avrei voluto, in quel momento solenne in cui ho ricevuto Gesù, che a porgerlo fossero le Vostre benedette mani! (...) Potervi ricevere insieme a Gesù, entrare nella mia lingua, posarvi sul mio petto, riposarvi sul mio cuore! Quanto sareste buono! Del resto non siete Voi come Gesù che amava tanto i fanciulli? Che li chiamava intorno proprio come fate Voi e sgridava chi glieli voleva allontanare e li accarezzava e li ritornava alle mamme benedetti e felici? Margherita V. Firenze, 8 maggio 1936
• ...e come il mio babbo Duce, sono orfana, essendo mio padre - la camicia nera Camillo Z. - caduto valorosamente davanti a Saragozza nelle file della prode divisione Littorio. (...) Ora più che mai sento il bisogno di un babbo. (...) Oh, fortunati coloro che hanno un babbo che li sorregge e li guida nel sentiero della vita: Duce, vogliate esser Voi ora il padre mio e sorreggere me e i miei fratellini nella vita che ci aspetta. Vi invio un disegno che ho fatto per Voi: è l’immagine del Babbo che la porto negli occhi del ricordo. la cosa più cara che ho e Ve la porgo tra le mani come se davanti a me stesse ancora il Babbo e attendessi un cenno della sua approvazione. Tullia Bari, 3 maggio 1938
• benito Duce Maestà, a mia casa con un grande numero di Figli della Lupa che non sanno cosa mangiare e il Padreterno à voluto farci un altro dei suoi regali mandandoci un altro figlio che così fanno otto di vivi. La campagna non basta mai e puramente se il marito è stanco ma grazie a Dio abbastanza forte le ultime masnà non sono tanto sostenute e l’ultimo invece che abbiamo chiamato Benito in onore del nostro Duce sta proprio bene ma se continua a stare qui non andrà (...) bene per lui. Per questo Vi vengo a chiedere, di prenderlo Voi come fosse un figlio Vostro perché è proprio una bellezza (...) ride sempre e tranquillo e non bugia tanto. Noi per questo non vogliamo niente, basta che sappiamo che Benito sta bene con la Vostra famiglia. Bruna P. Cocconato (Asti), 14 novembre 1938
• che fareste voi? Eccellenza Mussolini, vergogna! Per gli scienziati che avrebbero scoperto la vera razza italiana e per chi ha pensato i provvedimenti per la difesa della razza da Voi emanati. M’aggrappo alla speranza che Voi non Vi siate reso conto (...). Penso alle pene che Voi state infliggendo ai nostri figlioli. Debbo portare dunque i figli miei a battezzar all’Arcivescovado per nasconder a lor stessi quello che sono? O debbo passar qualche mille lire, che peraltro non dispongo, agli ufficiali di anagrafe perché con tratto di penna o bruciatura di registro ci facciano di razza ariana? O dobbiamo andarcene? E dove se qui è la nostra casa, il lavoro nostro e qui dormono in pace i nostri morti? Eccellenza Mussolini, che fareste Voi? (...). Ogni sofferenza, fatta a questi figli innocenti, cadrà su di Voi. Dina M. Trieste, dicembre 1938
• infame, ignobile, incosciente! Nel Vostro discorso del 16 maggio ai camerati trentini avete precisato che in politica «non deve esistere il sentimento, in politica sussiste solo l’interesse». Ebbene dovete tener presente che il popolo italiano non si è mai lasciato trascinare dal vile interesse. Il popolo italiano si batte per l’onore. Duce, la dichiarazione di guerra alla Francia è un’azione ignobile. Un uomo d’onore non uccide un ferito. Voi passerete alla storia coperto d’infamia. Siete andato contro la coscienza del Vostro popolo. Esso sarebbe stato concorde nel lottare contro l’invasione tedesca, considerando il popolo francese come un fratello. (...) Sempre in quel discorso avete accennato con tono beffardo «a coloro che pregano per la pace». Voi non credete all’esistenza di Dio e Ve ne infischiate delle preghiere, poiché solo Voi in Italia avete la facoltà di scegliere la guerra o la pace. Ma fino a quando potrà durare la Vostra egemonia? Siete potente, ma non siete immortale. Avete osato sfidare Dio. Incosciente! (...). Il sangue di tanti innocenti si riverserà su di Voi. (...) In politica non esiste il sentimento? Ma credete che gli italiani siano pupazzi senza anima e cervello? Se avete soffocato la libertà di parola, d’azione e di stampa, non avete impedito al popolo italiano di sentire. A Voi l’arbitrio del Vostro destino. Vedremo i risultati. Lina Romani Trento, 15 giugno 1940
• servizio d’ascolto offresi Eccellenza Mussolini, essendo stata assunta da alcuni mesi bigliettaia sui mezzi tramviari ho la possibilità di girare la nostra Milano (...) vedendo un mucchio di cose, belle e brutte. Sento anche discorsi che la gente fa (...). In pratica, Duce, ci vorrebbe un servizio d’ascolto dei discorsi della gente che Vi riferisca davvero quello che la gente fa e pensa (...). Io mi offrirei volentieri, perché V’appoggio davvero e voglio che siate davvero informato di quel che succede (...). Gisella D. Milano, 6 gennaio 1941
• donne fasciste Dateci un’arma, Duce. Perché le donne fasciste non dovrebbero essere pari alle donne guerriere dei tempi antichi che la guerra la fecero davvero e la vinsero con silenzioso eroismo? Annalisa F. Verona, 30 giugno 1941
• angelo custode Duce, mi rivolgo alla Vostra immensa bontà. Sono sarta, ma disgraziate vicissitudini mi hanno privato della macchina da cucire (...). grande la richiesta e solo l’immensa necessità mi dà il coraggio di formularla: fatemi avere una macchina da cucire (...). Iole A. Falconara, 9 agosto 1942