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 2016  novembre 11 Venerdì calendario

Urbano Barberini: «Recitare mi ha salvato: in famiglia sarei morto. Ho capito tardi il sistema delle raccomandazioni»

«Sarei morto in quella famiglia», dice Urbano Barberini, il principe attore. «Quella famiglia» è la sua, una delle più antiche casate aristocratiche, ha dato due Papi, Martino V e Urbano VIII, e una schiera di cardinali. Urbano è nato a Roma nel 1961, con Franca Valeri ha recitato in sette commedie, la strana coppia. È diventato attore per due motivi: «Volevo rendermi indipendente prima possibile. E volevo espormi perché avrebbe comportato una conoscenza di sé».
Il primo incontro cinematografico, per Nata d’amore di Duccio Tessari, fu «un disastro totale. Ero in una situazione di assoluta timidezza, fuori un fustacchione, dentro una grande fragilità, ero Kirk Douglas e Fantozzi. Non mi usciva la voce, le gambe di legno, scambiai Massimo Ranieri per Barbara Nascimbene che interpretava mia moglie e non me ne accorsi, c’era una scalinata, resa scivolosa per la neve, mi aggrappai al suo abito, cademmo entrambi».
Da lì cominciò a studiare recitazione, Londra, Los Angeles, Roma. Fece yoga e psicoanalisi, tutto quello che gli serviva per sbloccarsi. Ma i veri problemi li aveva altrove, in famiglia. Con la sua gentilezza d’altri tempi («vuole un genere di conforto?», chiede mentre siamo al bar, è il suo modo per offrire un caffè), Urbano racconta che «la sostanza dell’educazione era modesta, formale. Le famiglie aristocratiche hanno una grandezza che è pericolosa, perché oggi non si hanno più ruoli pubblici, di governo o di amministrazione. Ti chiami Barberini: e allora? Una volta il cognome era sostanziato dalle attività. Sono una specie di Bignami dell’aristocrazia». Mostra la carta d’identità: Urbano Riario Sforza Barberini Colonna Sciarra. Come ha vissuto tutto questo? «Con curiosità e un certo timore. Sono forte di carattere. I miei genitori si sposarono molto giovani, all’epoca non avevi esperienze prima di sposarti. È stata una situazione stimolante dal punto di vista del si salvi chi può. Si parlano le lingue, si è educati, si sa fare conversazione, non si mettono i calzini corti e il baciamano si fa bene. In passato gli aristocratici per una causa combattevano. Nel 1478 ci fu la Congiura dei Pazzi, se andava male ti sbudellavano, come successe in quell ’occasione a Girolamo Riario, mio antenato».
La tata Ida e la nonnaQuando a Roma passa davanti a Palazzo Barberini...Sorride: «Ci sarà un modo per riprenderselo? Temo di no. Ho undici cani, quel bel giardino mi farebbe comodo. Dopo una lunga vicenda giudiziaria ho ripreso il controllo di un ente morale che ha dei beni, uno di questi è la tenuta vicino Tivoli dove risiede il Baliaggio istituito da Urbano VIII, e vivo lì. Il Baliaggio è una sorta di trust, no profit e ha una valenza benefica». Suo bisnonno aveva 34 di titoli, a un certo punto sui documenti c’era scritto «eccetera eccetera». Lo sente il peso del passato? «C’era un concentrato di storia patria notevole, ma era pieno di azioni forti, anche dal punto di vista artistico. Il Barocco nacque durante il pontificato di Urbano Barberini, grande mecenate, col Bernini aveva un rapporto alla pari». Il capitolo dei suoi genitori è delicato. «Ho mia madre, Mirta Barberini. Mio padre, Alberto Riario Sforza, è morto. L’ho visto poco. I miei si sono lasciati male, per usare un eufemismo». Sulla rete si trova: il duca cerca di ammazzare la moglie con uno spadone. «Mi hanno allevato la tata Ida e mia nonna Nadia, che da giovane mi regalò una casetta a Piazza Farnese, il mio fortino».Come attore dal sangue blu ha vissuto pregiudizi, e su due sponde diverse: «Dagli aristocratici e dagli attori. I primi pensavano: gli passerà, si stancherà; gli altri dicevano: ma questo che vuole? Io incassavo e ripartivo. Ho recitato nell’ Otello di Zeffirelli, e con Dario Argento in Opera. Un horror. Mi chiedeva: vuoi recitare con un occhio solo o preferisci uno sfregio? Mi è stato d’aiuto lavorare per la BBC e in Francia. Le critiche furono buone. Ho capito che ero capace di recitare. Avevo 26 anni. Frequentavo le scuole serali, perché non era riconosciuta la maturità presa in America e volevo studiare Filosofia. Ho cominciato a lavorare a 18 anni. Foto di moda, pubbliche relazioni». Mai pensato a un nome d’arte? «Mi sembrava un modo per svicolare il problema». In Italia ha faticato. «Ho capito tardi il sistema delle raccomandazioni. Perché passavo provini alla BBC o a France 2 e mai quelli per la Rai o Mediaset? L’Italia è corrotta e la tv è lo specchio del paese».
Una volta a teatro un individuo non identificato gli gridò vergogna, gli bucò le gomme dell’auto. «Era il 1996, il mio primo spettacolo: Sulle spine. Un monologo un po’ estremo, travestimenti sessuali, prendevo le sembianze delle persone che uccidevo. Riuscii a far venire in sala Franca Valeri, mi disse: è bravo, lavorerei volentieri con lei. Mi fecero leggere una piéce francese per due protagonisti, Mal di madre, dove si prende in giro la psicoanalisi. La diedi a Franca, mi ritelefonò dopo due ore: trova un produttore e un regista. Facemmo 300 recite. Lei è la persona più importante assieme a mia moglie Viviana, le ho conosciute la stessa sera. Il fatto che a Franca non abbiano mai dato la direzione artistica di un teatro, ti fa capire quanto sia marcio questo paese».
L’arroganza del potere
Una delle cose che sta più a cuore a Urbano Barberini è la lotta contro il degrado ambientale. «Sono assessore alla Cultura di Tivoli. L’ex prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro assieme all’ex governatore del Lazio Renata Polverini volevano spostare la discarica di Malagrotta a 700 metri da quella che l’Unesco chiama fascia di rispetto di Villa Adriana. Sarebbe stata la Caporetto della cultura italiana. Creai un comitato e vincemmo la battaglia. A Tivoli il sindaco è Giuseppe Proietti, un archeologo. Mi chiese di occuparmi di cultura e turismo. C’è stata una rivoluzione. Non esisteva una stagione teatrale: adesso ne abbiamo tre».
«Della nobiltà mi piace il legame con l’arte, i miei antenati sono stati mecenati straordinari. Non mi piace l’arroganza del potere. Il potere è una responsabilità, non un privilegio». Vorrebbe vivere in un’altra epoca? «No, mi piace la possibilità di seguire le lezioni di storia e filosofia passeggiando col cellulare».