Il Giornale, 31 ottobre 2016
La migliore prof d’Italia abbatte le barriere con un supermercato
«Non ricordo esattamente quando ho deciso di diventare un’insegnante. Penso in realtà di aver dato sempre per scontato che questo sarebbe stato il mio mestiere. Mio padre era un docente e mi ricordo le ore trascorse a guardarlo mentre preparava le lezioni». Più che un lavoro, per Daniela Boscolo stare dietro la cattedra è una scelta inevitabile. Qualcosa che da sempre è scritto nel suo destino. Non poteva essere che lei, quindi, a essere premiata come migliore insegnante dell’anno nel 2010. E a finire nella classifica dei 50 docenti in lizza per il Nobel dell’insegnamento assegnato dalla Varkey Gems Foundation. Perché Daniela è riuscita a creare un nuovo metodo educativo, che permette di inserire nella normale vita scolastica gli studenti con esigenze educative speciali. Per questo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella l’ha insignita anche dell’onorificenza dell’Ordine al merito della Repubblica.
«È un momento che non dimenticherò mai dice -. Le parole di stima e l’elogio del presidente per il lavoro fatto e per la professione che esercito, rimarranno per sempre un ricordo indelebile. L’unico rammarico, è di non aver potuto condividere questo riconoscimento con mio padre, che purtroppo è mancato quando avevo vent’anni». Daniela ha iniziato come insegnante di inglese, appena laureata, con i bambini della scuola elementare. Poi la scelta di dedicarsi al sostegno, all’istituto tecnico economico di Porto Viro, piccola città della provincia di Rovigo. Sostenuta dall’esempio del suo papà. «Mi diceva sempre che c’è chi apprende guardando, chi ascoltando, chi facendo ricorda -. Questa penso sia stata la lezione più importante che potesse lasciarmi in eredità del suo lavoro. Una lezione che molti anni dopo, nove anni fa, mi ha portata a lasciare l’insegnamento dell’inglese per dedicarmi completamente ai ragazzi con disabilità». Una sfida difficile, ma sempre stimolante e ricca di soddisfazioni. «Insegnare a questi studenti significa mettersi continuamente alla prova, tentare diverse tipologie di approcci e scoprire diversi modi di apprendere conferma -. Ma vuol dire anche non avere pregiudizi sulle potenzialità di apprendimento di nessuno, vuol dire saper valorizzare le abilità e competenze di tutti». E una grande sfida è stata anche creare un metodo educativo nuovo. E rivoluzionario. «Ciò che sto sperimentando prevede la creazione di ambienti di apprendimento dove i ragazzi possano esercitare le loro competenze spiega -. Questi ambienti agevolano le capacità e le performance di tutti, eliminando gli ostacoli e promuovendo proprio i compagni di classe. Il progetto Al supermercato, che ho realizzato nel mio istituto nel 2010, prevede per esempio la realizzazione di un punto vendita, all’interno della scuola, condotto dai ragazzi con disabilità e aperto ai loro compagni. Le varie discipline, dalla matematica all’inglese, dall’economia aziendale al diritto, vengono apprese agendo».Un programma ambizioso e faticoso. Ma capace di regalare enormi soddisfazioni. «Fare l’insegnante di sostegno vuol dire vivere ogni giorno delle emozioni profonde prosegue -. Il rapporto che si instaura con i ragazzi è profondo, coinvolgente. Non ci sono confini. Qualsiasi esperienza, dal punto di vista emotivo, è all’ennesima potenza». In vent’anni di attività, Daniela ha vissuto tante esperienze. Alcune indimenticabili. Come l’incontro con Alessandro. «Durante un’interrogazione d’inglese, avevo appena finito di sentire questo alunno che, come al solito, era andato benissimo dice -. La docente di classe invitò una compagna a unirsi al colloquio. Lei disse: Io, però, non riuscirò mai a parlare bene come Alessandro! Alessandro è un ragazzo con sindrome di down. Ma in quella classe era semplicemente Alessandro. La patologia non c’era. Quando poi alla fine dell’esame di maturità, il presidente della commissione mi chiese se ero certa che lo studente anche in quell’occasione bravissimo – fosse certificato, non riuscii a trattenere le lacrime».
Alessandro è solo uno dei tanti ragazzi che hanno arricchito la vita di questa insegnante così speciale. Quando qualcuno le chiede se ricordi qualche studente che l’abbia colpita in particolare, risponde senza esitazioni: «Quanto tempo ha?». Eppure, la quotidianità di chi svolge questo compito non è sempre facile. «La soddisfazione provata in casi come questi ha un risvolto amaro prosegue -. I ragazzi, che svolgono un programma differenziato alle superiori non ottengono il diploma, ma solo un attestato di credito formativo. Un documento che non ha alcun valore legale. Per la società, questi studenti sono fermi alla licenza media». Ma la voglia di proseguire è sempre fortissima. Perché c’è ancora molto da fare. «L’Italia è uno dei pochissimi Paesi al mondo ad aver adottato l’inclusione nel sistema scolastico. È dalla fine degli anni Settanta che le scuole speciali non esistono più. Tuttavia dice – siamo ancora lontani dall’esercitare una didattica veramente inclusiva. Altra nota dolente è l’inserimento lavorativo, una volta terminate le scuole superiori. Spesso il territorio non offre soluzioni appropriate e tutte le conoscenze e competenze acquisite durante gli anni di studio vengono perse mancando l’esercizio continuo».
Ma Daniela delle nuove sfide non ha paura. Anche perché non si sa mai quali incontri riservi il destino. «Dallo scorso anno ho una studentessa affetta da diplegia spastica, che la costringe su una sedia a rotelle e le impedisce il completo movimento delle mani va avanti Daniela -. Ha appena subito la sua quattordicesima operazione, all’ospedale di Padova, in pediatria. Il pensiero di ritornare lì le era insopportabile perché avrebbe toccato con mano il dolore di bambini e genitori del reparto oncologico. Mi ha detto: Ogni volta penso a quanto fortunata sono io. Capisce perché, quando uno inizia a fare il docente di sostegno, non riesce più a tornare a fare il normale docente di classe?». Ma lei è molto più che un’insegnante di sostegno. È un esempio e uno stimolo per migliaia di colleghi. Anche grazie a questi premi. «Sono stati sicuramente una bella scossa ammette -. Il riconoscimento del lavoro fatto. L’orgoglio di una professione che mai come prima ha perso la giusta considerazione per il compito che le viene affidato dalla società». E le sfide non sono ancora finite. Perché dopo la scuola c’è la vita. E bisogna fare in modo che questi ragazzi siano considerati in ogni ambito. «Il vero obiettivo conclude deve essere saper valorizzare le competenze di tutti anche per il dopo la scuola».