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 2016  ottobre 30 Domenica calendario

Affari d’oro per le archeomafie

L’arte in ostaggio. La chiamano così i Carabinieri del Comando a tutela del patrimonio culturale che sul loro sito, regolarmente, aggiornano il bollettino delle opere d’arte trafugate e che rischiano di trasformarsi nell’ennesimo bottino miliardario per l’archeomafia. Un elenco dettagliato con descrizioni e immagini delle principali opere illecitamente sottratte in Italia e non ancora recuperate. Quadri, collane, statue, epigrafi, steli, capitelli, busti, reperti di tombe e scavi, libri, calici, bassorilievi, reliquiari, ostensori, pulpiti, sculture, strumenti musicali e chi più ne ha più ne metta in una lista lunghissima. Del resto l’illecita richiesta “sottobanco” è elevatissima e il mercato si allarga ogni giorno di più grazie anche ai nuovi scenari di guerra internazionale che offrono tesori inaspettati fino a pochi anni fa.
Passione per clan e cosche 
All’elenco dell’“arte in ostaggio” si aggiunge quello, forse ancora più lungo, delle opere d’arte acquistate regolarmente sul mercato e che rappresentano l’ennesima forma di investimento o di ostentazione per cosche e clan. Per dare un’idea del flusso continuo che alimenta la criminalità, basti ricordare che a inizio mese gli investigatori hanno trovato due statue di fine Seicento e un gruppo marmoreo dello stesso periodo, smontati e conservati in casse di legno adagiate in un vecchio magazzino dimenticato di Gioacchino Campolo, detto il re dei videopoker, vicino alla cosca De Stefano, al quale lo Stato il 22 maggio 2015 ha confiscato beni per oltre 330 milioni. Tra questi 125 quadri De Chirico, Guttuso, Picasso, Ligabue, Fontana, Dalì, che oggi vengono ospitati nella Casa della Cultura di Reggio Calabria e sono dunque patrimonio della collettività.
La passione per l’arte, da conservare o da vendere, non è solo della camorra e della ’ndrangheta. Anzi. Secondo le dichiarazioni di alcuni pentiti, il boss di Cosa nostra Matteo Messina Denaro aveva ordinato il furto del Satiro Danzante rinvenuto nel luglio 1997 a largo di Mazara del Vallo (Trapani) il cui Museo tuttora lo ospita, per venderlo a un mercante d’arte straniero. L’operazione fallì, ma non venne mai meno la “passione per l’arte” della primula rossa, ereditata dal padre Francesco, uno dei primi tombaroli del Parco archeologico di Selinunte (Trapani).
Ancora, ad esempio, il 28 aprile di quest’anno la sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Roma ha confiscato beni per circa 30 milioni riconducibili a Ernesto Diotallevi, nel passato vicino al cassiere di Cosa Nostra Pippo Calò e alla Banda della Magliana, indagato nell’indagine Mondo di Mezzo per associazione mafiosa ma per il quale la Procura il 6 ottobre ha chiesto l’archiviazione. Nella sua collezione, mobili del Settecento napoletano, opere di Mario Schifano, Sante Monachesi e Giacomo Balla. 
Giro d’affari miliardario 
Per dare un’idea del fatturato della cosiddetta archeomafia, basti pensare che secondo le stime del Rapporto 2015 di Legambiente, ha fatturato 3,4 miliardi, più del business del mercato illegale dei rifiuti speciali, che si è fermato a 3,1 miliardi. La stima riguarda solo i beni archeologici recuperati, i falsi, i sequestri e le sanzioni penali e amministrative comminate da Carabinieri e Gdf. Come spiegavano i Carabinieri del Comando a tutela del patrimonio culturale già nel Rapporto 2008, in Italia «si è assistito alla trasformazione radicale della criminalità nello specifico settore, attraverso la formazione di gruppi che somigliano a vere e proprie aziende commerciali. Come queste ultime, il fine è quello del profitto e i loro componenti, appartenenti a una umanità complessa ed eterogenea, agiscono per realizzarlo». In una catena perfetta, all’ interno di queste organizzazioni, operano ladri, ricettatori, riciclatori, trafficanti ed esperti d’arte. 
Il feeling con il Califfato 
Il bollettino dei Carabinieri è parziale anche perché non tiene conto di quanto non viene denunciato e di quanto non viene saccheggiato in Italia ma in Italia viaggia e transita “da” e “per” il mondo, pronto a diventare fonte di illecito arricchimento o patrimonio della criminalità. Gli esempi dei due quadri del valore complessivo di 100 milioni di Van Gogh rubati il 7 dicembre 2002 nel Museo di Amsterdam e ritrovati 14 anni dopo nelle mani della camorra o lo scambio tra armi e reperti provenienti da Sirte gestito da alcune cosche calabresi non sorprende nessuno se non un’opinione pubblica che crede che le mafie traffichino solo in droga o si esercitino stancamente in racket e usura. 
Le analisi di Dnaa e servizi di sicurezza 
La Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo ha ben chiaro che jihad e mafie nostrane hanno punti di contatto sempre più frequenti nel nome degli affari. «Si è di fronte a un fenomeno nuovo in cui organizzazioni terroristiche controllano territori e ne sfruttano le risorse finanziarie, naturali, artistico-archeologiche, umane», si legge nel rapporto 2015 presentato al Parlamento dalla Dnna a marzo di quest’anno. «I gruppi terroristici locali – prosegue il documento – hanno stretti collegamenti, sul piano ideologico, operativo e finanziario, con le organizzazioni madri ma emerge anche un sistema “molecolare”, in cui i componenti hanno autonomia e capacità di auto-attivazione». In altre parole, una libertà quasi assoluta di manovra da parte dei gruppi fondamentalisti islamici, per far fruttare anche le risorse artistiche e archeologiche distrutte e saccheggiate in una furia iconoclasta che nasconde i più biechi interessi che nulla hanno a che fare con la religione e le sue derive. Del resto, al netto delle recenti difficoltà dovute alle reazioni armate locali e occidentali, secondo stime recenti l’Is accumula circa tre miliardi di dollari l’anno con attività criminali di vastissima portata, confermate dalle Risoluzioni adottate dalle Nazioni Unite nel 2015: traffici di stupefacenti, contrabbando di petroli e di opere d’arte, traffici di armi, contrabbando di tabacchi, traffici di migranti, estorsioni e sequestri di persona, corruzione e riciclaggio dei proventi illeciti. «Si tratta di attività criminali che, per essere realizzate – prosegue nella sua analisi la Dnaa – necessitano di una vasta rete relazionale di complicità esterne alla associazione terroristico-mafiosa. Che, per generare profitti, tendono a interagire anche con l’economia e legale e attraverso circuiti ufficiali (si pensi alle condotte di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo realizzabili attraverso i circuiti money transfer). D’altra parte, per una elementare e ineludibile legge di mercato, ogni scambio suppone un venditore e un acquirente, un’offerta che intercetta una domanda. All’offerta terroristica corrisponde una domanda globalizzata di servizi e prodotti illeciti».
Anche lo Stato ha ben chiara la prospettiva terroristico-mafiosa. Nella relazione 2015 sulla politica dell’informazione per la sicurezza presentata il 2 marzo di quest’anno dal Governo al Parlamento, si legge che «di rilievo è il traffico illecito di reperti archeologici sottratti dai siti storici presenti nelle aree occupate. Si calcola che più di un terzo dei dodicimila siti archeologici iracheni e siriani, molti dei quali dichiarati dall’Unesco patrimonio dell’umanità, sarebbe sotto il controllo dell’Isis e oltre il 90% di essi insisterebbe nelle zone di guerra dei due Paesi. I reperti, dopo essere stati trafugati da tombe, chiese, palazzi antichi e altri siti di inestimabile valore storico, grazie alla presenza in loco di esperti di settore appositamente assoldati dai miliziani, sarebbero rivenduti ad intermediari locali di acquirenti internazionali». 
Altro non è che quella catena del malaffare che vede le mafie italiane come anello di congiunzione irrinunciabile.