Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  ottobre 30 Domenica calendario

Le basi fragili di un governo voluto a tutti i costi

Sono due le cause che hanno portato alla formazione di un nuovo governo del conservatore Mariano Rajoy. Entrambe potrebbero rivelarsi deboli ancorché comprensibili, cause perse, in contraddizione tra loro. E in definitiva potrebbero non aiutare la Spagna, la sua politica e la sua economia.
Pur di dare un governo al Paese dopo dieci mesi di paralisi, si è arrivati a un compromesso rischioso. A muovere i partiti – ed è questa la prima causa per il governo Rajoy – sono stati «il senso di responsabilità», «lo spirito patriottico», «la necessità di non distruggere la credibilità conquistata negli ultimi anni», «la volontà di non compromettere la ripresa economica»: parole che hanno accomunato la destra dei Popolari, i loro avversari di sempre, i Socialisti, e i centristi di Ciudadanos, oltre a qualche formazione regionale minore. A tenere assieme il governo fin dalla nascita è tuttavia anche la paura di nuove elezioni: i Socialisti che con l’astensione hanno dato il via libera a Rajoy non hanno alternative, non possono infatti permettersi di affrontare un nuovo voto in cui, secondo i sondaggi, perderebbero ancora consensi diventando una forza marginale, dietro a Podemos nella sinistra. Questa seconda causa che ha garantito la continuità di governo dei conservatori è certo meno nobile ma sarà probabilmente dominante nei prossimi mesi.
Non c’è un agenda condivisa, non c’è – nemmeno nelle dichiarazioni – un governo per le riforme, non c’è un accordo sull’emergenza, sulle cose da fare comunque e subito. «Nessuno può dire quanto durerà questo governo: un mese, un anno, di certo nessuno pensa all’intera legislatura. E se invece di finirla lì, si dovesse tirare avanti vivacchiando, sarebbe anche peggio», dice un vecchio funzionario dei palazzi di governo, vicino ai Popolari. 
Eppure la Spagna ha davanti a sé molte e difficili scelte politiche che modificheranno le relazioni con l’Unione europea (c’è un budget da sistemare); lo sviluppo dell’industria (la bolla immobiliare ha insegnato qualcosa?); la vita delle famiglie (ci sono ancora 4,6 milioni di disoccupati); la convivenza tra regioni dentro lo Stato (la Catalogna arriverà in pochi mesi allo scontro finale con Madrid).La bugia – populista e superficiale – del Paese che sta meglio senza governo, dell’economia che cresce anche senza una guida alla Moncloa, verrà smascherata nei prossimi anni: il vuoto di investimenti, il rallentamento delle amministrazioni, il ritardo dei progetti a lungo termine, le difficoltà che le regioni e dei comuni hanno affrontato si faranno sentire. 
Anche quest’anno il Pil della Spagna aumenterà più del 3% ma la crescita sta moderando il ritmo. «Nel 2017 i consumi privati rallenteranno per il venire meno di alcuni fattori temporanei che li avevano sostenuti: il prezzo del petrolio è risalito, l’euro ha smesso di deprezzarsi e il governo spagnolo, dopo la riduzione delle tasse, sarà costretto a introdurre misure fiscali restrittive per centrare gli obiettivi di bilancio stabiliti con l’Unione. Anche gli investimenti rallenteranno in modo significativo per colpa del clima di incertezza. Mentre le difficoltà internazionali non aiuteranno la domanda esterna», spiega Apolline Menut di Barclays.
Da Bruxelles hanno già chiarito che per riportare sotto controllo il deficit servono misure per circa 5,5 miliardi di euro nella prossima Finanziaria. La Commissione europea e la Bce – in una lettera ufficiale al governo di Madrid – si sono inoltre fatte sentire chiedendo che «non venga interrotto il percorso delle riforme avviato», ma anche «maggiore equilibrio nell’economia» e un ulteriore sforzo per «sostenere produttività e occupazione». 
Il «senso di responsabilità» ha poco da spartire con la paura di scomparire. Rajoy – dato per finito più volte – non può accettare di fallire: gli scandali di corruzione hanno indebolito i Popolari che per ora resistono solo per mancanza di alternative. I Socialisti – spaccati in due proprio sulla fiducia a Rajoy – hanno annunciato «opposizione dura su ogni provvedimento del governo». Ciudadanos fa da comparsa. Podemos con Pablo Iglesias insiste nell’attaccare il patto di governo ma è fuori dai giochi.
Tutta la Spagna è ancora in una fase di passaggio. Se il bipartitismo dell’alternanza tra Popolari e Socialisti è crollato, il rinnovamento è per ora solo una bozza. Ma alcune emergenze – economiche e sociali – vanno affrontate subito: le riforme (del lavoro, del sistema bancario, del sistema scolastico) sono incomplete; il patto tra Stato e Regioni è da riscrivere; le rivendicazioni della Catalogna devono trovare una risposta. Mentre, per le cause che hanno portato alla sua nascita, questo governo di Rajoy sembra tra i meno adatti a governare davvero la Spagna.