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 2016  ottobre 30 Domenica calendario

I plebisciti veneti del 1866. Perché è giusto ricordarli

Giustamente è stato constatato che né il Pd, né Forza Italia e Fratelli d’Italia e neppure il governo ha preso iniziative per ricordare l’unione del Veneto al Regno d’Italia nel 150° anniversario. Vuoi per sudditanza nei confronti della Lega, vuoi per non dovere celebrare una data che, come tutte quelle del Risorgimento, richiama il ruolo della monarchia sabauda, vuoi per insensibilità per i valori patriottici, vuoi per ignoranza della storia nazionale, fatto sta che il messaggio che ne deriva è che l’Unità d’Italia, almeno in Veneto, è qualcosa di cui dobbiamo vergognarci e che è bene ignorare. Senza cadere nella retorica patriottarda, perdere il senso dell’identità e del comune destino in un periodo di grave crisi come l’attuale è oltremodo pericoloso. A coloro che espongono la bandiera col Leone di San Marco mi permetto di ricordare che fu definitivamente ammainata, senza combattere, dalla Repubblica di Venezia davanti a Napoleone quasi 70 anni prima dell’unione del Veneto al
Regno d’Italia, con la breve parentesi della repubblica veneta di Daniele Manin, sconfitta e perseguitata dagli austriaci.
Carlo Saffioti

Caro Saffioti,
Mentre il governo taceva, qualcuno a Venezia, come all’Università di Padova, non ha dimenticato il centocinquantesimo anniversario della unione tra il Veneto e lo Stato italiano. Nella ricorrenza del giorno in cui ebbero luogo le votazioni, l’Istituto Veneto di Lettere, Scienze e Arti (nato in epoca napoleonica ma nuovamente fondato dall’Imperatore austriaco nel 1838) ha organizzato un incontro per ricordare quell’avvenimento. Ne aveva i titoli. Cento anni fa, nel 1916 (l’Italia era in guerra dal maggio dell’anno precedente), l’Istituto aveva celebrato il cinquantesimo anniversario con una conferenza di Luigi Luzzatti, uno dei maggiori esponenti della classe politica italiana in epoca giolittiana.
È stato ricordato che i voti favorevoli all’unione furono 641.756, i no 69 e gli astenuti 366: un risultato migliore di quello registrato sei anni prima per il referendum del Regno delle Due Sicilie e per quello di due regioni dello Stato della Chiesa (Marche e Umbria). I «venetisti» (come vengono chiamati i nostalgici della Serenissima) sostengono che vi furono brogli, ma la manipolazione delle urne (ne avremo una nuova prova se Donald Trump uscirà sconfitto dalle prossime elezioni presidenziali americane) sono quasi sempre l’alibi dei perdenti. Qualcuno, invece, preferisce invocare il ricordo dell’Austria tollerante e bonaria, governata da un sovrano paterno. Nella realtà fu anche retriva e poliziesca con frequenti ricorsi al boia e alla corda. Ma il vero problema è un altro. L’Impero austro-ungarico era uno Stato d’Ancien Régime, fondato sulla lealtà dei sudditi per la dinastia regnante. Sopravvisse grazie a una amministrazione sperimentata e non priva di vecchia saggezza, ma la sua sorte, in un mondo dove il concetto di cittadinanza stava prevalendo su quello di lealtà dinastica, era segnata. I Savoia ebbero il merito di capirlo, e questo li rese credibili agli occhi della parte più viva e dinamica della società nazionale.
Non è necessario essere monarchici oggi, caro Saffioti, per riconoscere che senza i Savoia non sarebbe nata, fra il 1848 e il 1870, una Italia unitaria.