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 2016  ottobre 29 Sabato calendario

«Di sogno in sogno racconto l’Italia
 che non può essere umiliata». Intervista a Sveva Casati Modignani

Dov’è finita la via Gluck? E quella casa in mezzo al verde ormai dove sarà? Celentano la rimpiangeva in una canzone. Lei no, lei, la Signora bestseller, non ha patito alcuna ferita. Nell’eden dell’infanzia e dell’adolescenza felicemente sempre sta, vive, lavora, si diletta. Una certa Milano ha resistito a questa e quella accelerazione verso un futuro in cui non batte il cuore antico, dal cemento al tubo catodico alla fregola di bersi l’anima. Ha, per esempio, il respiro della dimora di Sveva Casati Modignani, dove in 35 anni sono venuti alla luce 30 successi. L’ultimo, Dieci e lode, per i tipi Sperling & Kupfer, è già in vetta alle classifiche di vendita.

La sua è un’officina di favole...

«Non indulgendo, beninteso, al lieto fine. L’epilogo non è mai “Vissero felici e contenti”, ma “Vissero in pace con se stessi”».

La prima favola è lei, vive ancora nella casa in cui è nata, correva il 1938...

«La casa dei nonni, risalente al 1910. Non l’ho mai lasciata, fatta salva una breve parentesi, due anni in centro dopo essermi sposata. Non potrei separarmi dal mio giardino, a cui dedico assidue cure. Il mio fiore? Le rose, ancorché coltivarle non dia più le soddisfazioni di una volta, tale l’aria inquinata».

La sua casa è a pochi passi da via Padova, il Bronx di Milano...

«Vede i palazzi di fronte? Dove sorgono, un tempo profumava il sambuco e scorreva un ruscello, lì mi rifugiavo quando in cielo passava Pippo con il suo carico di bombe».

Come si difende?

«Ho un bassotto ruggente, Rambo. La targa all’ingresso dovrebbe mettere in fuga i malintenzionati: “Chien fort méchant et peu nourri”».

Qui scrive, ogni giorno battendo i tasti della Olivetti rossa. Ed ecco «Dieci e lode».

«Di libro in libro racconto l’Italia. Il titolo dell’ultimo riconduce alla cosiddetta “Buona scuola”. Narrativamente dimostrando che è un miraggio. Umilia i ragazzi sommariamente bollati come somari, in realtà intelligentissimi. Nonché gli insegnanti, ancorati a una retribuzione risibile rispetto agli sforzi che prodigano. Come il mio Lorenzo Perego che, a proposito di studenti difficili, capisce il valore di Donnarumma, un allievo-Franti, facendone brillare le qualità».

In questo Paese a chi darebbe «dieci e lode»?

«A chi se la sfanga per arrivare alla fine del mese, non di rado sopportando l’insopportable. L’italiano è, in genere, profondamente onesto e, ahimè, troppo paziente».

La scuola intrecciata a una storia d’amore, immancabile nei suoi romanzi. Mai entrando nelle camere da letto. Perché?

«È forse il caso? Quello che accade prima è più fascinoso, no?».

Migliaia e migliaia le sue lettrici...

«Ma non difettano i lettori uomini. Mi si avvicinano per la dedica, aspetto che pronuncino un nome femminile, mi stupiscono: “È per me”. Le donne mi omaggiano di un affetto spesso imbarazzante, colmandomi di regali: dalle pattine ai centrini, agli asciugamani con il mio nome ricamato».

Chissà quante lettrici le si rivolgono per un consiglio?

«Che non dò. Ognuno è bravissimo a sbagliare in proprio senza farlo per interposta persona».

Di presentazione in presentazione...

«Se penso che, come Elena Ferrante, avrei potuto essere invisibile... Fu Tiziano Barbieri a coniare, per me e mio marito, perché insieme cominciammo a scrivere, lo pseudonimo Casati Modignani. Ma il coniuge, in breve, svelò l’arcano, inaugurando così la mia vita pubblica, tanto piacevole quanto faticosa».

Un ricordo fra gli altri?

«A Brescia. Entra in libreria una suorina, con due sporte piene di miei romanzi. Mi fa i nomi delle donne a cui dedicarli: “Sono la caposala del reparto oncologico femminile. I suoi libri sono per le mie pazienti di grande conforto”. Quale, per me, maggiore gioia? Un autentico premio Nobel».

I suoi romanzi sono tradotti in venti Paesi.

«Polonia, Russia, Germania, Portogallo... Ricordo un’accoglienza fantastica alla Fiera del libro di Lisbona. Una coda per l’autografo che si allungava fino all’ingresso del Parco dove la kermesse era ospitata».

Quale, tra i suoi personaggi, predilige?

«L’ultimo, gli ultimi. Quando la storia è finita, entro in crisi. È l’addio, sofferto, a una liaison. Di qui l’urgenza di andare oltre, immaginare nuove creature».

C’è un personaggio che ha bussato invano alla sua porta?

«Mi contattò la responsabile immagine di Berlusconi. Saggiando la mia disponibilità a scrivere la biografia del Cavaliere. Rifiutai spiegando: “Racconto solo i personaggi con cui mi sento a mio agio”».

Il personaggio intorno a cui sta orbitando?

«Un sindacalista. Voglio calarmi nell’Italia metalmeccanica, in velocissima metamorfosi. Come dire? Industria 4.0?».

Ebbene?

«Ho trascorso alcune giornate con Maurizio Landini nella sua spartana casa di villeggiatura, a Gabicce. Occhi azzurri, limpidi, trasparenti, una passione assoluta per il suo mestiere. Ispirerà il mio primo personaggio non altolocato. Una parrucchiera interpreterà il ruolo femminile».

Di sogno in sogno, la specialità Casati Modignani, no?

«Perché, come assicurava un poeta: “Solo i nostri sogni non saranno mai umiliati”».