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 2016  ottobre 29 Sabato calendario

Il crollo del petrolio punisce l’Eni
. Nei nove mesi rosso di 1,39 miliardi

Il crollo del prezzo del petrolio, che solo di recente ha avuto una svolta al rialzo, colpisce con durezza i conti dell’Eni nei primi nove mesi del 2016; però il gruppo conta di superare indenne questo periodo di difficoltà, conferma gli obiettivi e implicitamente fa capire che la politica dei dividendi non cambierà. Comunque la Borsa reagisce con un -1,75% a 13,51 euro (peraltro al di sopra dei minimi di giornata).


Per l’Eni il trimestre luglio-settembre si conclude con una perdita netta di 560 milioni di euro, un po’ inferiore a quella di 780 milioni dello stesso periodo dello scorso anno ma sempre pesante (e anche il risultato rettificato, è fortemente negativo, per 480 milioni). Si appesantisce anche il conto dei nove mesi, con un risultato netto -1,39 miliardi (adjusted -0,80 miliardi e risultato operativo adjusted -1,03 miliardi). Tornando al terzo trimestre e prendendo in esame l’utile operativo adjusted, cioè il valore che dà il segno del reale andamento dell’attività, il risultato è positivo per 0,26 miliardi, ma in contrazione del 66%, soprattutto a causa del minore risultato del settore esplorazione e produzione, in calo del 30%; e questo, a sua volta, si deve soprattutto al calo del prezzo del petrolio. Il problema è sempre quello. 


Sul fronte operativo, comunque, le notizie sono buone: la produzione nel trimestre aumenta dello 0,4% a 1,71 milioni di barili al giorno. L’amministratore delegato Claudio Descalzi dice che questi risultati, insieme al riavvio della produzione in Val d’Agri, «consentiranno di rinforzare dal quarto trimestre la generazione di cassa, che beneficia al contempo della riduzione dei costi di sviluppo e di estrazione. Le strategie e gli obiettivi di gruppo, comprese le cessioni, sono confermati». 


Ma quando finirà la fase di magra del petrolio a basso prezzo? Di recente i mercati hanno dato credito alla pre-intesa fra i grandi produttori dell’Opec e la Russia per un taglio della produzione, che per quanto lieve (l’uno o il due per cento) lancerebbe un segnale forte al mercato e accompagnerebbe il calo già in atto dell’eccesso di offerta sulla domanda. Si parla di pre-intesa, e non ancora di un vero accordo (per il quale i protagonisti si sono dati tempo fino alla fine di novembre) perché c’è ancora molto da trattare. La Libia e la Nigeria hanno chiesto e ottenuto che per loro si faccia eccezione ai tagli. Era particolarmente difficile convincere l’Arabia Saudita a concedere una deroga a favore dell’arcinemico Iran, ma pareva che quest’intesa fosse vicina, invece proprio ieri sono arrivati segnali negativi. È sorto pure un nuovo ostacolo, perché anche l’Iraq ha chiesto un’esenzione. Comunque il disastro economico a cui sono andati incontro tutti i Paesi petroliferi in anni di guerra dei prezzi sembra averli convinti della necessità di trovare un compromesso. Anche a prescindere dal fatto che si arrivi oppure no a un’intesa in ambito Opec più Russia, il mercato ha quasi azzerato per conto suo il surplus di petrolio. E il crollo degli investimenti in nuovi pozzi prepara un futuro di nuova penuria e prezzi alti.