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 2016  ottobre 29 Sabato calendario

Dalla Mongolia a Manhattan così il ratto ha conquistato il mondo

ROMA Quei ratti color marrone che oggi brulicano nei quattro angoli del mondo – dalle grandi metropoli europee alle città della costa Est americana, all’Oriente, all’Africa Centrale – appartengono a una specie, il Rattus norvegicus, che è partita dalle steppe della Mongolia e della Cina settentrionale per impadronirsi del pianeta. Comparando il Dna di esemplari provenienti dalle più disparate aree geografiche, e rintracciando le parentele grazie alle somiglianze tra i geni, un gruppo internazionale di biologi e genetisti guidati da Jason Munshi-South della Fordham University di New York è riuscito a ricostruire la mappa delle loro avventurose migrazioni.
«Possiamo intuire un viaggio a Nord in Russia e poi, attraverso lo stretto di Bering, nell’America dell’Ovest. Un’altra migrazione in giù nel Sudest asiatico e poi la più importante: l’arrivo in Europa attraverso la Via della Seta già con Marco Polo» spiega l’italiana Adalgisa Caccone, coautrice dello studio e direttrice del Centro di analisi genetica della biodiversità all’Università di Yale. «Le affinità genetiche dei topi affacciati sulle due sponde dell’Atlantico ci confermano l’idea che il Norvegicus sia arrivato sulla costa Est americana nascondendosi nelle navi di mercanti, avventurieri e conquistadores. E sempre in questo modo – è il verdetto delle parentele tra i geni – giunse in Nuova Zelanda e nelle colonie africane» osserva Caccone.
«La diffusione del Rattus norvegicus – che insieme alle specie “cugine” Rattus rattus (di colore più scuro) e Mus musculus (di colore più chiaro) occupa il podio dei mammiferi più invasivi del mondo – ha un aspetto sorprendente: inizia, sulle vie dei mercanti e attraverso gli spazi aperti delle campagne, molto più tardi rispetto alle altre due specie ma si conclude con un dominio globale mai visto prima» spiega la biologa. Il motivo del ritardo iniziale? «Per proliferare, ai topi servono depositi di cibo e di rifiuti tipici delle civiltà più ricche. Il surplus di cibo, poi, non significa solo conserve, ma anche commercio, e quindi possibilità per i topi di spostarsi come ospiti indesiderati dei mercanti. Tutto ciò è effetto della stanzialità e dell’agricoltura, che nella Cina del nord si afferma più tardi rispetto al Medio Oriente (luogo d’origine del Mus musculus) e all’India del Rattus rattus».
Ma una volta arrivato dalle nostre parti il Norvegicus ha sconfitto gli altri ratti e ha sfruttato la maestria navale degli europei per andare alla conquista del Nuovo mondo. Se da una parte è una piaga planetaria (19 miliardi di dollari di danni all’anno in tutto il mondo), dall’altra rappresenta una sorta di scudo per chi lo ospita. «Oggi chi vive in città è protetto da epidemie provenienti dall’esterno anche grazie al Rattus norvegicus, che, una volta stabilitosi in un posto, difende il territorio e i propri geni eliminando i topi estranei, eventuali portatori di malattie nuove» spiega Adalgisa Caccone.
Grazie alla sua ricerca, abbiamo un’arma in più contro questo nemico/amico altrimenti destinato a dominare la Terra: «Chi vuole derattizzare deve studiare i suoi geni nelle diverse parti della città» sottolinea la biologa. «Se ci sono differenze, anche in popolazioni distanti solo 200-300 metri, come in certe città brasiliane, significa che c’è poco interscambio e iniziative locali funzioneranno. Se invece in tutti i quartieri c’è uniformità genetica, vuol dire che il ratto si sposta, “prende la metropolitana”: inutile derattizzare un quartiere se non lo si fa anche in quelli vicini».