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 2016  ottobre 29 Sabato calendario

Hillary, shock a 11 giorni dal voto. L’Fbi torna a indagare sulle email

NEW YORK È L’INCUBO dell’autogol al 90esimo minuto. Uno scandalo, o presunto tale, capace di affondare Hillary Clinton proprio quando la sua vittoria sembrava assicurata. Di nuovo, galeotte sono le email “private” di quando lei era Segretario di Stato. A 11 giorni dal voto, il capo dell’Fbi in una lettera al Congresso annuncia di avere riaperto (tre mesi dopo averle chiuse) le indagini.
Lo shock psicologico è immediato, la tensione va alle stelle, Trump esulta, lo staff di Hillary trasuda indignazione, Wall Street vira al ribasso. Ne sono saltate fuori a migliaia, di nuove email, che prima l’Fbi non aveva visto. Queste ultime per la verità non sono state mandate dalla Clinton, riguardano invece Anthony Weiner. È un politico democratico di New York, ex-marito dell’assistente di Hillary (Huma Abedin), che si è rovinato la carriera per il vizietto di mandare selfie erotici a signore e ragazzine. Ora è sotto inchiesta penale per unsexting (sms con foto a sfondo sessuale) con una ragazza di 15 anni della North Carolina. Huma Abedin, di gran lunga la persona più vicina a Hillary, annunciò il divorzio ad agosto. Come i guai privati o penali di Anthony e Huma possano danneggiare Hillary, ieri sera non era affatto chiaro. E tuttavia le reazioni esaltate, scomposte, costernate, davano l’idea dell’effetto- shock tra repubblicani e democratici, quasi che il voltafaccia dell’Fbi possa davvero cambiare l’equazione elettorale.
La lettera inviata al Congresso da Comey annuncia che l’Fbi «sta facendo il necessario per determinare se queste email contengano informazioni classified (top secret, ndr) nonché per valutare la loro rilevanza nelle nostre indagini». Donald Trump all’annuncio interrompe un comizio e giubila: «Rispetto molto il fatto che l’Fbi e il Dipartimento di Giustizia hanno il coraggio di rimediare il terribile errore che fecero. È bene che tornino a occuparsi delle azioni criminali di Hillary». Sul fronte opposto il primo a reagire è John Podesta, direttore della campagna elettorale di Hillary, che affida a Twitter un commento sferzante con una critica implicita al capo della polizia federale: «Trump e i repubblicani – dice Podesta – da mesi intimidiscono l’Fbi per costringerli a riaprire il caso. È sconcertante che questo accada a 11 giorni da un’elezione presidenziale». La Casa Bianca fa sapere di essere stata informata poco prima del Congresso.
Ci aspettavamo sorprese da WikiLeaks, ma il siluro arriva dall’agenzia federale con compiti di polizia giudiziaria, che non prende ordini da Vladimir Putin. È irrituale, inatteso, inquietante che l’Fbi prenda una decisione così grave a poca distanza dal voto. A luglio la stessa Fbi aveva chiuso la sua istruttoria decidendo che non c’erano estremi di reato. In seguito alla chiusura dell’inchiesta di polizia, Hillary se l’era cavata con una reprimenda ufficiale, in cui il Dipartimento di Giustizia bollava il suo comportamento come scorretto e imprudente, ma non perseguibile come un reato. Allora quella decisione fu criticata da Donald Trump e da tanti altri repubblicani. Ora, come si vede, almeno una critica era ingiusta: l’Fbi non si comporta come un docile strumento dell’Amministrazione Obama, la sua funzione prevede ampi spazi di autonomia dall’esecutivo, anche se in ultima istanza dipende dal Dipartimento di Giustizia. Ora Trump gongola: vedete, posso ancora vincere le elezioni. È vero, fino all’8 novembre tutto è ancora possibile. Questa notizia-shock dall’Fbi arriva in una fase in cui già Trump stava rimontando nei sondaggi, sia pure da una posizione di netto svantaggio. Non una rimonta formidabile la sua, ma era già sufficiente da tre-quattro giorni a ridurre un po’ il margine di sicurezza di Hillary, reintroducendo un elemento di suspense e di incertezza proprio in dirittura d’arrivo in questa campagna elettorale.
L’esultanza in campo repubblicano è comprensibile. In una delle sue frasi più contestate in occasione del secondo duello in tv con Hillary, il candidato della destra aveva lanciato: «Se divento presidente finirai in carcere». Ora quella minaccia assurda diventa un po’ meno folle, almeno agli occhi di una parte dell’elettorato? Per riaprire un caso chiuso tre mesi fa, e farlo a 11 giorni dalle presidenziali, l’Fbi deve avere dei motivi solidi, o può essere mossa solo da un eccesso di scrupolo? Se lo scandalo è grosso, quanti voti può ancora spostare? A questo punto del calendario la percentuale di elettori indecisi è piuttosto ridotta, ma una rivelazione che inchiodi la Clinton a responsabilità gravi può influire sul morale della base democratica e ridurre l’affluenza alle urne. Torna lo spettro di crooked Hillary, l’accusa di disonestà che Trump le rilancia addosso da mesi.
Il nucleo originario dello scandalo? Hillary commise un’imprudenza ed anche una grave scorrettezza – ma non un reato, almeno secondo quanto detto dall’Fbi fino a ieri – usando un indirizzo privato di email anziché quello governativo. Wiki-Leaks, diffondendo alcune di quelle email segrete, aveva già messo a fuoco un conflitto d’interessi reale: quando era segretario di Stato, Hillary alternava e confondeva spesso le sue funzioni governative con le attività della fondazione filantropica di famiglia. Chi staccava grossi assegni per la Fondazione aveva anche un accesso preferenziale al Dipartimento di Stato.