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 2016  ottobre 29 Sabato calendario

«Se paghi corri», il processo smonta l’omertà

«Marco Coledan è la vittima esemplare di un certo ciclismo italiano. Nel 2013 correva per la Bardiani al minimo di stipendio. Quando la Liquigas, riconoscendone il valore, gli propose un ottimo contratto, Marco subì il pesante mobbing della Bardiani per non aver trovato la grossa somma di denaro che gli veniva chiesta come riscatto per svincolarsi, con una serie di rialzi di posta continui. Fu messo a riposo forzato: gli è stato rubato un pezzo di carriera». C’è silenzio di tomba quando Michele Re, avvocato di Coledan, chiude il processo «Paga per Correre» davanti al Tribunale Federale della Federciclismo di Roma.
Coledan è imputato assieme ai tre più noti manager del ciclismo italiano: Angelo Citracca, Bruno Reverberi e Gianni Savio. Loro accusati, tra l’altro, di «aver condizionato il passaggio al professionismo di atleti non sulla base di meriti sportivi ma del reperimento di uno sponsor che garantisse utili alla società», lui di reticenza sulla sua vicenda personale.
Ma Coledan in aula trova il coraggio di confermare le parole dell’amico e compagno di Nazionale Elia Viviani, oro olimpico a Rio, e cambia i toni di un processo già pesante di suo. È la prima volta che un corridore italiano (Coledan ora milita nella Trek Segafredo) alza il velo su un tema scottante. È prassi diffusa far firmare due contratti al corridore e consegnargli solo quello di durata più breve, spiega la Procura Generale del Coni che sostiene la pubblica accusa.
L’altra accusa nei confronti dei manager è di costringere gli atleti a «portare i soldi» per pagarsi lo stipendio. Gianni Savio (Androni) respinge sdegnato le accuse del toscano Mammini (che dichiara di aver ricevuto da lui una richiesta di 50 mila euro per un contratto), ma ammette di aver ingaggiato atleti «imposti come condizione necessaria dagli sponsor» giustificandosi col fatto che tutti «erano di valore». Bruno Reverberi ammette che il genitore di un corridore è stato sponsor del team. Ma nega che il fatto sia stato determinante per il suo ingaggio e quello di un compagno. Per l’accusa l’«inchiesta si è scontrata con omertà e intimidazioni. Ci si è stretto il cuore – ha detto il procuratore Ciardullo – vedendo il terrore di poveri ragazzi. Solo qualcuno di livello culturale più alto ha capito. Alcuni corridori sono schiavi di un sistema che li lega a vita alle società».
Il prossimo 10 novembre le repliche dei difensori e la sentenza. Il rischio di squalifiche pesanti è concreto.