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 2016  ottobre 28 Venerdì calendario

L’amaca di Michele Serra

Ci sono malati cronici che della loro malattia non vogliono più parlare. Non per pudore ma per noia, per non dover dare (da anni, per anni) sempre le stesse risposte alle stesse domande. Il discorso sulla corruzione negli appalti pubblici, in Italia, rischia di fare la stessa fine. L’idea di spendere sempre le stesse parole sulle stesse vicende è così mortificante che non le si spende più, quelle parole, svuotate dalla ripetizione, dalla retorica (se parole di sdegno) o dal cinismo (se parole di rassegnazione). È una malattia che rischia di vincere per sfinimento, la corruzione, proprio come quella mafia con la quale l’ex ministro Lunardi sosteneva che si deve imparare a convivere, così come si convive con le patologie congenite, le infermità irrimediabili.
Rispetto alle vecchie faccende di bustarelle e infeudamento prezzolato raccontate nelle commedie all’italiana dei Sessanta e Settanta, la sola novità è formale (non certo sostanziale) e sono le intercettazioni telefoniche, molto più grevi, sordide e dunque inverosimili delle sceneggiature di Age e Scarpelli o Steno. A quelle i media disperatamente si aggrappano, pubblicando quei dialoghi da b-movie e c-movie nella speranza di dare un po’ di speziatura a trame consumate dall’abitudine, dunque insipide: il politico disponibile, il cementiere fraudolento, l’intermediario viscido. Loro soltanto – beati loro – mai annoiati dalla immutabile parte in commedia.