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 2016  ottobre 28 Venerdì calendario

La muraglia tedesca blocca l’Osram cinese. E ora sono 40 i miliardi rifiutati dall’Occidente

PECHINO E adesso dove li metteranno mai quei mille miliardi di dollari che il premier Li Keqiang ha promesso di spendere nei prossimi cinque anni? Poveri ricchi: i cinesi ci avevano preso così gusto a comprarsi mezza Europa, per non parlare del resto del mondo. Peccato che adesso la porta sbattuta in faccia dalla Germania ha provocato un colpo d’aria che qui a Pechino, soffocata dallo smog, non si sentiva da un pezzo. Già il placet prima accordato e poi ritirato per l’acquisto di Aixtron era il segnale che qualcosa stava davvero cambiando. La certezza è arrivata ieri con la decisione di lasciare al buio i cinesi di MLS: le lampadine di Osram non splenderanno più a Pechino malgrado la succulenta offerta da 400 milioni di euro. Che succede?
Succede che quella parte di mondo che va dall’Europa agli Usa passando per l’Australia ha deciso di dire no: buttando però dalla finestra la bellezza di 40 miliardi di dollari di affari rifiutati. Eppure sembrava un fiume tranquillo quello dei soldi che negli ultimi cinque anni è fluito, per restare all’Europa, alla velocità di 10 miliardi all’anno. Certo, il report firmato Merics e Rhodium Group avverte che il balzo del 44% dal 2014 al 2015 di investimenti cinesi in Europa è stato anche facilitato dallo sprint di ChemChina su Pirelli costato sette miliardi. Ma la spesa cinese nel Vecchio Continente batterebbe sicuramente un altro record se andasse in porto l’altro colpo grosso sempre del gigante chimico, l’acquisto di Syngenta che da solo varrebbe 44 miliardi, la più grande acquisizione cinese di sempre. Peccato che il deal sia in sospeso perché Pechino si è rifiutata per ora di rispondere ad alcune domandine dell’Antitrust europeo. C’eravamo tanto amati?La sete cinese ha spiegazioni diverse. L’ultima è l’inarrestabile indebolimento dello yuan. Investire all’estero vuol dire mettere i quattrini in sicurezza e investire in Europa vuol dire farlo in un ambiente meno avverso, ai cinesi, degli Usa. I numeri si spiegano anche così: il 35% della spesa finisce in America e metà invece da noi. Philippe Le Corre e Alain Sepulchre raccontano in “China’s Offensive in Europe” l’attrazione storica delle piccole e medie imprese ad alto contenuto tecnologico di Inghilterra, Germania, Francia e Italia. Ma ormai siamo già alla nuova frontiera: la finanza, i private equity. Perché allora chiudere la porta?
I cinesi attraggono ma fanno anche paura. Con 173,9 miliardi di investimenti, dati settembre 2016, la Cina ha ormai sorpassato gli Usa anche nella classifica dello shopping all’estero. Ma sempre nello stesso periodo sono sfumati affari per 10,1 miliardi di dollari. Una ricerca di Dealogic ha scovato anche i “no” costati, a noi, più cari: gli americani hanno rifiutato i 3,8 miliardi di dollari che Unisplendour aveva promesso a Western Digital, l’azienda di archiviazione dati, e i 2,5 miliardi con cui China Resources & Hua Capital voleva prendersi i semiconduttori di Fairchild. Il problema è il solito: sicurezza nazionale. Come se ne esce in tempi di globalizzazione? Sara Marchetta, vicepresidente della Camera di commercio qui a Pechino, riconosce che il vento protezionista che soffia in Europa scende dalle montagne della politica: «Già i cinque miliardi offerti dai cinesi di Midea per la robotica di Kuka avevano sollevato più di un problema». Ma adesso? «Adesso nessuno può dire se davvero lo stop tedesco significherà un ripensamento per i cinesi. Certo non cambia nulla nella ricerca del rispetto della reciprocità». Cioè di quel “Bilateral Investment Agreement” da anni allo studio. Non è un problema solo degli europei. Verso tutti gli investitori stranieri Pechino continua ad alzare la Grande Muraglia di divieti, burocrazia e controllo politico, soprattutto quando a voler entrare in campo sono aziende di comunicazione, aerospaziale, robotica. Ma non puoi pretendere di trattare il resto del mondo come un supermercato e poi nascondere la mercanzia di casa tua dietro la saracinesca. O no? Beh, magari come un supermarket no, però come un grand hotel sì, visto l’ultimissimo shopping di Chen Feng, il patron di HNA che l’altro giorno con sei miliardi di dollari e mezzo s’è preso il 25% di Hilton. Lo vedi che un posto dove accasarsi i cinesi lo trovano sempre?