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 2016  ottobre 28 Venerdì calendario

Ritorno al formidabile 1960. Comincia il miracolo italiano

«Il 14 luglio, alle 13.45 in punto, ci sarà la fine del mondo; noi poveri cristi moriremo tutti o quasi, travolti dall’apocalisse…». I giornali di quell’estate traboccavano di allarmi del «profeta Emman», il pediatra milanese che diceva d’aver saputo direttamente da Dio che era in arrivo un nuovo diluvio universale da cui si sarebbero salvati solo i «discepoli» saliti, con patate e pomodori pelati, al rifugio Pavillon sul Bianco. Narrano le cronache: chiesero d’aggregarsi perfino dei cinesi. Memorabile l’elzeviro di Dino Buzzati, che suggeriva ai lettori come usare gli ultimi istanti: «Dio mio, come sarei felice di sapere che, nel preciso attimo che il mondo sprofonda nel nulla, c’è uno che sta leggendo un mio articolo. Finirei davvero in bellezza».
Ci voleva ben altro, per rovinare quel magico 1960. «L’efficienza e la prosperità del sistema produttivo italiano costituiscono un autentico miracolo economico», scriveva il «Daily Mail». E la conferma arrivava l’11 gennaio ’60 dal «Financial Times». Che assegnava alla lira l’«Oscar delle valute». E pareva sul serio, in quel Paese eccitatissimo dove perfino una provincia povera come Cosenza era cresciuta in dieci anni di quasi il 70%, che tutto andasse a gonfie vele e dovesse andare a gonfie vele per l’eternità. «Andremo nella Luna in tre ore e 27 minuti», aveva titolato ottimisticamente «Oggi» qualche anno prima. Macché Luna: su Marte saremmo andati! Su Plutone! Perché mai metter limiti ai sogni?
Ed è questo il senso, appeso a un filo di nostalgia, di 1960. Il migliore anno della nostra vita ( Longanesi) di Alfio Caruso. Dove il giornalista scrittore etneo-milanese ricostruisce gli eventi, le emozioni, i fermenti, i traumi ma soprattutto le speranze di una piccola Era racchiusa in 365 giorni che rappresentarono un momento di svolta per il Paese. Il quale si era ripreso così velocemente dalla guerra finita solo da tre lustri che «la produzione di Tutti a casa, ambientato nel settembre ’43, fu obbligata a ricostruire in studio le rovine del tempo»: le macerie vere non c’erano più.
È l’anno dell’elezione alla Casa Bianca di John F. Kennedy, dei binari aperti all’Arlecchino che «da Milano a Napoli viaggia a 180 km orari», di film straordinari come Rocco e i suoi fratelli o La dolce vita, del ritorno alla grande su rotocalchi dei Savoia, di casi clamorosi di «nera» come il suicidio del bergamasco Vitalino Morandini che aveva ammazzato in tutto nove persone ma aveva il nomignolo di «Angel» per «l’abitudine di rimbrottare chi dicesse una bestemmia o una parolaccia».
L’anno che celebra un’Italia satolla dopo decenni di cinghie strette: «Ogni italiano consuma in media 606 chili di alimenti l’anno, nel 1900 erano 303. Sono così distribuiti: 26 chili di carne, erano meno di 15 nel ’50; 67 di latticini, nel ’50 erano 30; 7,2 di pesce, erano 3. Grande balzo della frutta, 61,5 chili, erano poco meno di 17, e della verdura, 112 chili contro 36,5. Infine lo zucchero, 21,6 a fronte di 2,6…»
È un’Italia dove la tv e i giornali ignorano l’economia («occupa un titolino la nomina del quarantaseienne Guido Carli a governatore della Banca d’Italia») ma «il leggendario Prodotto interno lordo, che oggi ci fa così tanto disperare, festeggia il record: +8,3%, dopo che nei due anni precedenti ha segnato +5,3 e +6,6. Gli investimenti crescono di oltre il 6%, il reddito medio dell’8…». Un’Italia dove «il reddito annuo pro capite è di 927 dollari (meno di 8 mila euro); negli Usa è di 3.221, in Svizzera di 2.213, in Svezia di 2161, in Germania Ovest di 1.773, in Gran Bretagna di 1.668, in Francia di 1.490» ma sono tutti convinti «che sia solo questione di tempo prima di stabilizzarsi al livello dei ricchi».
«Essere o benessere?», s’interroga quel genio di Marcello Marchesi. Dopo tanti patimenti (la vita è ancora durissima in larghe sacche del Veneto e del Mezzogiorno) c’è finalmente la possibilità di indugiare perfino sulle cronache mondane, i pettegolezzi, le dive e i divi. «L’attore Maurizio Arena si recherà in Gran Bretagna. Un giornale attribuisce al “fusto” il proposito di conquistare molte ragazze inglesi», titola il «Corriere». Come potrebbero resistere al fascino plebeo? «L’attore avrebbe anche rivelato quale sia la sua tattica di fronte all’altro sesso: “Tratto le ragazze dall’alto in basso, senza molti riguardi, per quattordici giorni. Poi mi trasformo in un passionale innamorato per sei ore. Il successo non manca mai. Ho fatto quarantacinque film in sei anni e ciò mi ha permesso di conoscere molte donne e di innamorarmene”». Vero? Falso? Boh…
Emergono, in parallelo, anche quei limiti e vizietti che freneranno poi l’accelerazione miracolosa. Li sintetizza in battute folgoranti lo stesso Marchesi: «Oggi sciopero contro il terremoto» (ahi, la sindacalizzazione…), «Sedere è potere» (ahi, la burocrazia…), «Tra il dire e il fare c’è una busta da dare» (ahi, la corruzione…)». Dicono tutto le parole di Indro Montanelli all’emergere degli scandali sulla costruzione per le Olimpiadi dell’aeroporto di Fiumicino che doveva costare 13 miliardi di lire e ne sarebbe costati 80: «È molto peggio di un furto, di una rapina a mano armata, di un’incursione di briganti... Magari potessimo trovarci un bel pirata... Lo impiccheremmo all’albero di trinchetto... e non se ne parlerebbe più. Invece si dovrà parlarne ancora, vedrete: chissà quanti altri Fiumicino ci aspettano».
Quelle Olimpiadi, però, resteranno impresse nella memoria dei ragazzini di allora. L’irruzione sul ring di Cassius Clay, la scheggia sui 200 metri di Livio Berruti (che guadagna un premio pari a 16 mila euro e una Fiat 500 che venderà per comprarsi un’Alfetta) e la corsa senza scarpe sui sanpietrini di Abele Bikila… Come resterà impressa la morte del vecchio Albino, rintracciato anni prima a Milano mentre tirava un carrettino di frutta e verdura: era l’ultimo destriero sopravvissuto della leggendaria carica di Isbuscenskij. L’ultima carica di cavalleria della storia, lanciata nell’ottobre del 1942 durante la campagna di Russia. E parve che anche quella fosse una prova che il mondo vecchio avesse davvero lasciato il posto al nuovo.