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 2016  ottobre 24 Lunedì calendario

Vertici aziendali. Chi ci sarà dopo di me? I piccoli(ssimi) passi in avanti dei piani di successione

Doug Oberhelman è il manager che guida uno dei colossi americani dei veicoli e macchinari da costruzione, Caterpillar. Il marchio dal caratteristico colore giallo e che è divenuto quasi sinonimo della parola «forza».
Sono 41 anni che Oberhelman lavora nel gruppo Usa e dal 2010 ne è l’amministratore delegato, la massima carica operativa. Ma il 31 marzo Oberhelman prossimo andrà in pensione. Lo ha detto adesso e ha già annunciato anche chi prenderà il suo posto: Jum Umpleby, attuale direttore generale con responsabilità per il settore energia e trasporti.
ProgressiUna pratica molto diffusa nel mondo anglosassone e che rassicura gli investitori. E, invece, piuttosto infrequente in Italia dove, non di rado, chi ha quote della società si trova di fronte a improvvisi «vuoti di potere» con le inevitabili ripercussioni (immediate) sul titolo e anche sull’operatività interna. Il mondo bancario ha dato molti esempi di questo tipo negli ultimi anni. Anche se le eccezioni ci sono, come è stato nel caso di Amplifon: società di proprietà della famiglia Holland e quotata in Borsa, ha visto l’ex amministratore delegato Franco Moscetti programmare la propria uscita e indicare contestualmente chi avrebbe guidato il gruppo dopo di lui.
Sono quelli che si chiamano «piani di successione» e che consentono di sapere come si comporterà una società nel caso, appunto, di un avvicendamento al vertice, che può essere programmato o anche no – ed è l’eventualità più difficile da gestire – come nel caso del venir meno della fiducia con gli azionisti o di un problema personale improvviso.
In realtà, pur se a piccoli passi, qualcosa sta cambiando anche in Italia. Secondo il rapporto annuale Assonime-Emittente titoli che sarà reso noto a novembre e di cui Corriere Economia ha avuto una anticipazione, le società quotate che oggi hanno un succession plan sono 29. Sarebbero state 30 se Pirelli non fosse uscita dalla Borsa a seguito dell’acquisto del gruppo italiano da parte di ChemChina. «Può sembrare poco – dice Massimo Belcredi, professore ordinario di Finanza aziendale all’università Cattolica e curatore del rapporto Assonime – ma tra un anno e l’altro c’è stato un incremento del 50%. Significa che una qualche forma di reazione c’è stata». Come si vede dal grafico in pagina, mentre fino all’anno scorso c’era una sostanziale parità tra società industriali e banche/società finanziarie, in quest’ultimo anno sono state soprattutto le banche ad attivarsi (pur se, va detto, non sempre i risultati sono stati conseguenti all’impegno).
Le regoleVa detto che le società non sono obbligate ad avere un piano di successione degli amministratori esecutivi. Ma il codice di Autodisciplina raccomanda ai consigli di amministrazione di valutare se adottarli e di fornire informazioni nella relazione sulla governance. Circa il 90% delle 227 società su cui è stata condotta l’indagine (cioè quelle di cui al 15 luglio scorso erano disponibili le relazioni) ha dichiarato di aver valutato «se» adottare un piano, anche se poi solo il 11,8% ha effettivamente dato corso al progetto approvando un programma di successione (8,8% nel 2015). Perché questa differenza?
«La spiegazione deriva dall’assetto proprietario – dice Belcredi —. Mentre nelle grandi società anglo-americane, con un azionariato estremamente diffuso, il dominus è il consiglio di amministrazione che ha tutti i poteri decisionali, fino a quello di presentare la lista per il rinnovo del Cda, in sostanza di autonominarsi; nelle società europee, e italiane in particolare, nella stragrande maggioranza dei casi esiste un azionista di controllo che spesso entra direttamente in Cda e che inevitabilmente ha un peso determinante nelle nuove nomine. Questo non è necessariamente un male, considerato che nelle società americane c’è un problema piuttosto grosso di irresponsabilità dei consiglieri rispetto agli azionisti».
E, infatti, quando le società spiegano perché hanno deciso di non adottare alcun piano, dicono proprio così: che c’è un azionista di maggioranza che si occuperà del tema. Risposta «molto pragmatica che riconosce una realtà di fatto – dice Marcello Bianchi, vice direttore generale di Assonime e in precedenza responsabile della divisione Strategie regolamentari, corporate governance e risorse della Consob – ma che sottovaluta una funzione essenziale del Cda in queste fasi, quanto meno quella di interagire con l’azionista di controllo».
La finanzaSul mercato non ci sono, però, solo le società «di proprietà». «Molte banche – prosegue Bianchi – non hanno questo azionista di controllo così evidente, si trovano in una situazione intermedia. Quando il codice di Autodisciplina, benché non raccomandi la necessità di un piano di successione, chiede di dire perché non lo si è previsto, sta dando un segnale. Che sia individuato non tanto un successore quanto le modalità da seguire in caso di necessità». Ed è per questo che già la relazione del comitato sulla Corporate governance di Assonime pubblicato lo scorso anno nelle sue conclusioni scriveva: «Nel prendere atto dell’elevata percentuale di società che forniscono informazioni circa la valutazione della possibilità di adottare un piano per la successione degli amministratori esecutivi, il Comitato invita gli emittenti a valutare l’adozione di procedure che prevedano una chiara ripartizione di competenze, in particolare di quella istruttoria, nel caso di un’eventuale sostituzione degli amministratori esecutivi, per garantire la stabilità e la continuità della gestione».
Cosa comporti l’incertezza si è visto sui mercati.