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 2016  ottobre 21 Venerdì calendario

Auto senza pilota, né leggi

Otto telecamere invece di una, sensori potenti il doppio rispetto a oggi e una capacità di elaborare dati 40 volte superiore: 12 trilioni di operazioni al secondo. Per dirla con le parole di Elon Musk, le prossime vetture prodotte da Tesla «saranno dei supercomputer dentro una macchina». Lo scopo? Guidarsi da sola. L’annuncio dell’imprenditore – al netto dei prezzi, che saliranno – rappresenta il futuro della mobilità su strada? Forse. «Quando le leggi lo consentiranno» specificano da Tesla.
Il punto, in effetti, è (anche) questo. Perché l’auto senza pilota spesso è senza regole. «Sì, questa è la situazione italiana. Altri Paesi, come Inghilterra, Germania, Francia e alcuni Stati americani, si sono dotati di norme che consentono di condurre i test dei veicoli automatici sulle strade pubbliche. Per realizzare i nostri esperimenti, noi italiani dobbiamo andare all’estero». Chi parla è Alberto Broggi, professore universitario e imprenditore, protagonista di uno dei viaggi più lunghi mai realizzati con la guida automatica: dall’Italia alla Cina e ritorno. Per sperimentare servono risorse e, per trovarle, Broggi si muove sulla strada al confine tra l’università e l’impresa e tra l’Italia e il mondo (in passato ha guidato l’associazione degli ingegneri americani): dopo aver creato la srl Vislab con l’Università di Parma, ha trovato un partner investitore nella Silicon Valley, Albarella. La cui specialità (acquisizione di immagini) ben si combina con quella di Vislab, che le immagini sa elaborarle.
Dello stesso parere è l’informatico Giovanni Pau, altro italiano eccellente della comunità che si occupa di smart mobility. Questo è il nome del corso che lo scienziato della Ucla di Los Angeles, da un anno cittadino americano, tiene alla Sorbona di Parigi. Il tema del corso, co-finanziato da Renault e dalla software house Atos, è la connettività tra veicoli, le «macchine che si parlano». Un filone di ricerca che punta a razionalizzare il traffico e ridurre l’inquinamento.
Sia Broggi che Pau considerano esemplari, nonché adattabili all’Italia, le regole dello Stato americano del Nevada (online su www.dmvnv.com ). «In tre pagine – dice Pau – ci sono i requisiti necessari per sperimentare veicoli autonomi senza compromettere la sicurezza. E poiché la sicurezza è la priorità del Department of Motor Vehicles, occorrono sia la tecnologia che la pratica, già acquisita e documentabile, nei test sicuri».
Innanzitutto si deve provare di aver già percorso 10 mila miglia in auto senza pilota su piste e strade private. Poi si è tenuti a scrivere un consuntivo dell’esperienza (eventuali incidenti compresi) per spiegare come si comporta il veicolo automatico nel riconoscere, ad esempio, pedoni e semafori; e come si muove nelle varie situazioni ambientali. È come se a prendere la patente fosse l’auto. Il che, non essendoci guidatore, ha una logica. Poi il Dipartimento decide se lasciare la sperimentazione libera in ogni contesto geografico e meteorologico o concederla solo in alcune situazioni. Per questo le strade del Nevada sono state suddivise in quattro categorie (interstatali, statali, urbane, rurali). Mentre le situazioni ambientali sono cinque (guida notturna, pioggia, nebbia, neve o ghiaccio, venti forti). L’obiezione più ovvia è la diversità tra il paesaggio italiano, ad altissima densità umana, e il territorio del Nevada, uno dei più disabitati d’America. «In realtà – dice Broggi – le norme sono state pensate anche per lo Strip, la via dei casinò di Las Vegas».
In Italia, il tema delle regole per l’auto senza pilota è ancora allo studio del ministero dei Trasporti, che sta lavorando a una normativa e ai decreti attuativi che l’accompagneranno. Per consentire i test su strada, si prevede la modifica dell’articolo 46 del Codice della strada, che definisce la nozione dei veicoli «guidati dall’uomo». Inoltre saranno fissate regole tecniche e giuridiche per definire le responsabilità. La priorità, anche in Italia, è la sicurezza delle persone.