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 2016  ottobre 20 Giovedì calendario

Dietro la crescita troppo debito e bolla immobiliare

Il target di crescita fissato dal Governo per il Pil cinese – come «per magia», usando le parole di Peter Boockvar di Lindesy Group – è stato centrato anche nel terzo trimestre del 2016, ma le buone notizie rischiano di finire qui. E non tanto perché si tratta pur sempre del passo più lento da sette anni a questa parte.
Quel 6,7% di crescita, consegnato agli archivi dalle statistiche di regime, deve ancora troppo a fenomeni che Pechino vorrebbe e dovrebbe ridimensionare: bolla immobiliare, settori economici inefficienti e in sovraccapacità e soprattutto debito. Quel debito che, secondo un recente nuovo allarme dell’Fmi, è cresciuto «molto rapidamente» rispetto agli standard globali e ormai minaccia di innescare una crisi bancaria e di frenare bruscamente l’economia, se non affrontato prontamente.
Tutte cose che Pechino sa bene. Solo due settimane fa, per affrontare l’enorme esposizione finanziaria delle aziende, stimata in 18mila miliardi di dollari e ormai prossima al 170% del Pil, il Governo ha annunciato un controverso piano di swap, in base al quale le banche sarebbero chiamate a convertire in azioni i crediti che vantano nei confronti delle imprese. Con il rischio, però, di incamerare asset forse ancora più tossici dei prestiti concessi e di peggiorare una situazione già grave. Secondo analisti del settore privato, i non performing loans in carico alle banche cinesi sono pari al 19% del Pil (contro il 2,15% indicato dalle autorità), tanto che per S&P Global, sarebbe necessaria una iniezione di capitale da 1.700 miliardi di dollari per sanare i bilanci.
A settembre, i prestiti concessi dalle banche sono balzati del 30% verso nuovi record. Con le aziende già ingolfate da debiti che faticano a ripagare, questi capitali sono andati a fornire nuovo carburante al già surriscaldato mercato immobiliare. Nel terzo trimestre, i prestiti a medio e lungo termine concessi alle famiglie (per lo più mutui), hanno rappresentato il 60% di tutti i finanziamenti erogati. Un balzo rispetto al primo trimestre, quando erano il 23% del totale. L’acquisto di abitazioni è così salito del 43% nei primi nove mesi del 2016 (su base annua). Nelle ultime due settimane, almeno 21 città hanno adottato restrizioni alla compravendita di case, innestando la retromarcia dopo due anni di incentivi. E la stessa agenzia di Stato Xinhua, ieri, ha messo in guardia contro i «tumori» che infestano il settore, facendo schizzare i prezzi a livelli insostenibili (+25% in un anno a Pechino a Shanghai).
Allo stesso tempo, e ancora una volta in contrasto rispetto alle linee d’intervento tracciate dal Governo, la crescita degli investimenti (8% tra gennaio e settembre) che ha puntellato l’attività economica resta ampiamente a carico delle aziende di Stato, che hanno aumentato del 21,1% la spesa in impianti e macchinari, contro il 2,5% del settore privato, bloccato appunto dal debito. 
La bolla immobiliare sta inoltre sostenendo quella dell’acciaio, un settore inefficiente, altamente inquinante e in sovraccapacità, emblema del modello di sviluppo che Pechino vorrebbe abbandonare. Se nel 2015, per la prima volta in 30 anni, la produzione era diminuita, nei primi nove mesi del 2016 è tornata a salire dello 0,4%, contro ogni aspettativa.
Per Julian Evans-Pritchard, di Capital Economics, siamo allora di fronte a una ripresa «dai giorni contati, dato che è sostenuta in gran parte da tendenze che il Governo sta cercando di frenare, come l’accelerazione del credito e il boom immobiliare».
Di positivo c’è, come sottolinea Daniele Mellana, director di East Capital, che lo «scenario di hard landing sembra abbastanza scongiurato, anche in considerazione del fatto che la Cina continuerà con gli stimoli fiscali» e che l’economia si sta sempre più spostando verso i consumi: la crescita delle vendite al dettaglio a settembre (10,7%) è stata più robusta di quella della produzione industriale (6,1%).