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 2016  settembre 30 Venerdì calendario

Dopo la la strage in Puglia i treni vanno a 50 chilometri all’ora

Dopo la strage, la beffa: e una circolare rebus che apre un valzer di interpretazioni. In quella Puglia dove il 12 luglio lo scontro fra due treni fece ventitré morti e una cinquantina di feriti, molti pendolari oggi faranno prima (o comunque meglio) ad andare a piedi. Ancora una volta la questione meridionale irrisolta si impone nell’Italia contemporanea in una delle sue più vistose forme di disunità, quella dei trasporti.
Accade dunque che sulle tratte prive di protezione nella marcia dei treni (il sistema Scmt) si fissi la velocità massima di 50 chilometri l’ora (di fatto, la paralisi). In ballo c’è un bel pezzo delle undici linee in concessione su cui si spostano ogni giorno studenti e lavoratori (anche della «Ferrotramviaria», la società coinvolta nel disastro di luglio, e soprattutto della ministeriale «Ferrovie Sud Est», fallimentare maglia nera della mobilità locale).
La faccenda suona sinistra e beffarda, perché con il sistema Scmt quest’estate molte famiglie non avrebbero dovuto piangere i loro cari e tuttavia il meccanismo di sicurezza è ancora, spesso, un vago obiettivo da centrare. «Sa di precauzione postuma», mormora Mario Pisani, docente emerito della Statale di Milano che nella strage di Andria ha perso suo figlio Maurizio.
I limiti non riguardano ovviamente solo la Puglia, dove peraltro gli sforzi della Regione sono stati notevoli: vengono indicati nella circolare 9956 firmata lunedì scorso da Amedeo Gargiulo, direttore dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie (la Ansf), e avrebbero immediato vigore (il condizionale, vedremo, è d’obbligo). Toccano dal Nord al Sud d’Italia 41 linee per 12 gestori: un universo ferroviario claudicante che non rientra nei 17 mila chilometri d’avanguardia della Rfi con strutture di controllo invidiate in Europa. Qui parliamo dei parenti poveri, tratte su cui salgono ogni mattina tre milioni e mezzo di italiani. «La rete italiana è tra le più sicure in Europa», spiegava Gargiulo dopo la strage di Andria, ammettendo implicitamente che «quell’altra rete», quella dove abbiamo contato i morti, non sia del tutto Italia. Ma se le 8 linee delle «Ferrovie Nord» lombarde e le 10 della «Fer» emiliana hanno fatto passi avanti, e se le altre linee in gestione nella Penisola mostrano luci e ombre, la Puglia porta comunque addosso dal 12 luglio il marchio del disastro.
Intendiamoci, il decreto con cui il 15 settembre Graziano Delrio mette la sicurezza delle reti in gestione sotto il controllo dell’Ansf è sacrosanto (semmai tardivo). Ma la circolare, tenendo conto dell’impatto, sembra un equilibrismo da trattativa sindacale della Prima Repubblica. Prescrive «massima urgenza» e «misure minime immediate» tra cui al punto 4 la fermata in tutte le stazioni su linee senza blocco elettrico e al punto 5 il limite dei 50 orari, più un’altra serie di provvedimenti che, lasciano intendere all’Asstra, l’associazione dei gestori locali, presi alla lettera cancellerebbero decine di convogli. Poi apre la porta a misure alternative («se i gestori mi propongono una pattuglia di carabinieri davanti a ogni treno a noi va bene, ma non lo scriva», celia amabile Gargiulo, spiegando felpato che la sua circolare non contiene ordini «ma suggerimenti»). Soprattutto si danno 30 giorni ai gestori per trasmettere all’Ansf «le misure adottate nell’immediato», mutando l’immediato in successivo. «Ci sono dubbi da chiarire, ci vediamo il 4 ottobre», spiega Matteo Colamussi, Asstra di Puglia. «Tutti si sfilano come Ponzio Pilato», mormora qualcuno nei corridoi romani dell’associazione nazionale.
Michele Emiliano, governatore pugliese, ci mette la faccia e dice che oggi «ci saranno meno disagi del previsto», sostiene che al Nord stanno messi pure peggio, che la Puglia ha speso per la sicurezza. Il decreto Delrio era nell’aria da un anno. Se troppi gestori non avessero chiuso gli occhi, aspettandolo, il 12 luglio sarebbe ancora un giorno qualsiasi. Qualcuno, seriamente, sostiene ora di attendere una circolare che interpreti la circolare.