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 2016  settembre 29 Giovedì calendario

Il museo in movimento dei tram di Torino

A guardare in fondo a questo capannone ad arco, a due passi dalla cremagliera per Superga, pensi che da dietro l’angolo possa spuntare, da un momento all’altro, una dama in guanti bianchi, mentre i bambini vanno a scuola con il grembiule e il fiocco blu stretto al collo. Come nei primi anni del secolo. E questo perché sui binari di quella che sembra una piccola stazione sono fermi, uno dietro l’altro, un tram del 1911, uno del 1924 e un altro del 1933.
Hanno la carrozzeria lucida, i numeri e i capolinea scritti in lettere dorate con la grafia di una volta, gli interni in legno ricostruiti in maniera certosina da un gruppo di appassionati. Che, unici in Italia, dopo averli salvati da sicura distruzione, li hanno restaurati e quindi restituiti ai binari realizzando il sogno di dar vita a un museo in movimento. Come a San Francisco, dove sulla Market Street corrono tram storici di tutto il mondo.
«Non paragonateci agli americani. Loro sono attivi da 40 anni, ma anche noi abbiamo un parco macchine che non scherza», racconta Massimo Condolo, dell’Atts, l’Associazione Torinese Tram Storici, nata nel 2005. L’ultimo a essersi unito alla flotta, un 2401 del 1957, con rimorchio più motrice, arriva da Monaco di Baviera. «Un collezionista tedesco ce l’ha lasciato in eredità. Sapeva che con noi sarebbe tornato in servizio». Prima ci vorrà un lungo ricovero nell’officina di corso Tortona, a due passi dal Po, di Gtt, l’azienda di trasporto locale che da sempre collabora con l’associazione. Poi ritornerà a sferragliare, non a Monaco, ma nel centro di Torino, come già fa il 312.
Ore 14, domenica: eccolo pronto a partire in piazza Castello. Che non sia un tram piemontese è palese già dai colori: bianco e blu. Mai vista una livrea così in città. Il capolinea, poi, dice tutto: Cinecittà. Arriva da Roma. Anno di costruzione 1935. Lo hanno salvato nel 2008, a due ore dalla demolizione. E adesso tra i passeggeri c’è anche Gabriella Pozzi. «Che emozione. Lo prendevo sempre per andare a trovare il mio fidanzato». Oggi è il marito, Aldo Restuccia, seduto appena dietro: «Salivamo al volo. Partiva con le porte aperte». «L’associazione è nata nel momento giusto», spiega loro Simone Schiavi, un altro degli oltre 700 soci. «Bastava qualche anno di ritardo e i tre quarti dei nostri mezzi sarebbero andati perduti».
Finora ne hanno recuperati 26, custoditi in vari depositi, di cui 18 sono già stati restaurati. «Facciamo tutto noi, aiutati dai meccanici Gtt – rivela Condolo -. È anche necessario adeguare i tram alle norme di sicurezza di oggi, altrimenti non possono viaggiare». Il 502 di Torino, un gioiello rosso lucente tutto in legno del 1924, si chiude solo con cancelletti di ferro. «Per fortuna siamo riusciti a bloccarne l’apertura con un sistema elettrico poco visibile». Oggi è uno dei più amati. Come il tram di Bologna, che conserva il capolinea originario, San Ruffillo. A breve tornerà sui binari l’ultimo esemplare di Trieste. Due le occasioni per vederli: c’è la linea storica 7, attiva tutti i sabati e i giorni festivi dal 2011, voluta da Atts e oggi gestita da Gtt. Il biglietto costa 1,50 euro. Altrimenti ci sono le uscite speciali, nei weekend, organizzate dai soci. Possono guidare i mezzi esclusivamente manovratori Gtt fuori dall’orario di servizio. In una parola: gratis. La corsa non costa nulla, ma le offerte sono ben accette per finanziare nuovi lavori.
In lizza spiccano il restauro del tram di Napoli, finito nel 1934 e abbandonato dopo il terremoto del 1980, e il 2593 di Torino del 1933, disegnato da Atm, commissionato alla Fiat Materfer e destinato a diventare, grazie a un accordo con l’Istituto europeo di design e al progetto di Urszula Grodzicka, il «Tram della cultura». Oggi non ne resta che uno scheletro bianco senza sedili e il pavimento sollevato. Quando sarà finito avrà un palco, tavoli e divanetti e sarà impiegato come location di eventi.