la Repubblica, 28 settembre 2016
La vendetta di Asafa Powell, eterno sconfitto
La vendetta dell’eterno sconfitto Asafa Powell arriverà in pista e sugli almanacchi. Con la quantità potrebbe in parte recuperare ciò che la cronica incapacità a gestire gli scontri diretti gli ha negato in 16 anni di carriera d’ alto livello. Asafa diverrà probabilmente il primo velocista della storia a raggiungere quota 100: 100 volte i 100 metri sotto i 10 netti. Con le ultime gare del 2016 è arrivato a 97 (sarebbero 98 se una non gli fosse stata cancellata dalla sospensione per doping di sei mesi). Un dato trasversale, certo, ma comunque straordinario. Per 13 stagioni (dal 2004) è andato sotto i 10 netti 8 volte all’anno di media. Non avrà avuto la rabbia agonistica di Gay e Gatlin, non avrà avuto il talento di Bolt, ma sicuramente ha esibito una consistenza fisica e una continuità prestativa che gli hanno permesso di presentarsi spesso al top della propria condizione. Nasce tutto da lontano, il bello e il brutto di questa favola. «C’mun ‘sssafa!!!», si sentiva gridare dall’albero 13 anni fa. E cadevano foglie. Era il suo allenatore Stephen appollaiato fra due rami, burbero e massiccio mentore di un campione vero diventato famoso per aver perso tutto quello che c’era da perdere: Asafa Powell. In quegli anni romani del suo gruppo al “Paolo Rosi” dell’Acquacetosa, fra il 2003 e il 2006, coach Francis emetteva urla becere quando l’allenamento dei suoi non andava come avrebbe voluto. Asafa viveva malissimo le ripetute sui 200 (persino quelle a ritmi più blandi). Quando non ne poteva più, il ragazzone fragile di testa finiva steso sul prato. E dall’albero: «Ma che ti hanno sparato una fucilata? C’muun ‘sssafa!!». Ironizzando sul cattivo rapporto con la fatica muscolare, Asafa raccontò: «L’unica soluzione per non allungarmi l’agonia era fingere di essere stato sterminato dall’acido lattico». Ma era un imbroglio e lo sapevano tutti. Allora vedevi Francis scendere all’albero e dirigersi verso il ribelle con una mazza da golf in mano. Asafa si alzava a scappava. «Non avevo voglia di soffrire». Avrebbe pagato per questa sua riluttanza giovanile al sacrificio. Nel 2003 scese per la prima volta sotto i 10 netti. Aveva 21 anni. Era un talento purissimo e nel suo futuro non c’erano nuvole. Eppure il suo è rimasto un sogno a metà. Forse per quei suoi lamenti a sproposito quand’era ancora giovane e mentalmente ancora da costruire. Asafa Powell ha stabilito record del mondo. Ha aperto la strada a Bolt. Ma non ha mai ottenuto consacrazioni. Ha vinto solo gare senza pressioni e senza rivali. Se accanto a lui comparivano Gatlin, Gay o Bolt, la sconfitta gliela leggevi negli occhi due ore prima, un’ora prima, nella call room, sui blocchi. E perdeva. Matematico. Non ha battuto Gatlin, Gay e Bolt nelle grandi manifestazioni, però è stato più generoso e resistente di loro. Powell è sceso sotto i 10 netti quasi il doppio di tutti gli atleti europei riusciti nell’impresa e riuniti insieme (53, tutti neri come Christie, Vicaut, Obikwelu, Martina, uno solo bianco, Lemaitre). Gli basterà correre “forte” almeno altre tre volte e poi entrerà nella storia (nel nostro cuore già c’è da tempo). E Bolt? È solo al 4° posto con i suoi 49 100 metri “sub” (va detto che Bolt ha gareggiato meno di tutti e comunque sotto i 9”80 il primo è lui). Meglio di Bolt hanno fatto sia Gatlin (53) che il vecchio Maurice Greene (51). Soltanto 833 volte si è scesi sotto i 10 netti e per mano (anzi per piede) di appena 115 atleti (guidano gli Usa con 340 prestazioni “sub” di 49 atleti). Tanti, ma non così tanti. Ma attenzione: tra gli ultimi soci del Club degli Acceleratori Umani, tesserato di fresco nel 2016, figura anche un certo Wayde Van Niekerk. Dovreste averne sentito parlare.