Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  settembre 28 Mercoledì calendario

I tagli agli statali, in Arabia Saudita

Austerità è una parola a cui i pubblici dipendenti sauditi hanno sempre prestato poca attenzione. Se non del tutto ignorato. Finora.
Perché dopo tre anni consecutivi con il petrolio sotto i 50 dollari (media), e due anni di crescenti deficit di bilancio, anche la Monarchia saudita non ha potuto fare altro che imitare i Paesi occidentali: prendere la via della spending review. Con una vigorosa sforbiciata ai salari ministeriali, un drastico taglio delle indennità, fino alla cancellazione dei bonus. Un’eresia per un esercito di dipendenti pubblici – due terzi della forza lavoro – abituato a generosissimi benefit.
Insomma, i tempi delle vacche grasse paiono ormai lontani. I 114 dollari al barile toccati nel giugno del 2014, ma anche la media registrata dal greggio Brent dal 2011 al 2013 – sempre ben sopra i 100 dollari – sono ormai guardati come un periodo che non tornerà più. Grazie a un fiume di petrodollari la Monarchia finanziava budget quasi illimitati, promuovendo un dissennato welfare all’araba fatto di imprudenti regalie volte a placare il crescente malcontento popolare scoppiato dopo le primavere arabe. Anche nel 2015, nonostante le difficoltà, Riad ha continuato a spendere. Troppo.
Lo scenario tuttavia è cambiato. Drasticamente. Per il terzo anno consecutivo il prezzo del greggio galleggia a una media inferiore ai 50 dollari. E per un Paese che ha fatto poco per curare la sua petrodipendenza, le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. L’ennesima contrazione del Pil (1,2% ) che quest’anno crescerà solo dell’1,1%, il livello più basso del 2009, sta viaggiando di pari passo con gli ingombranti deficit del budget. Da tre mesi il mercato azionario saudita sta mostrando segni di insofferenza, con perdite generalizzate. L’annuncio della spending review si è riflesso sull’indice Tadawul All Ahare, che ha ceduto ieri il 3,8 per cento. Cadendo ai minimi da febbraio.
Dal prossimo mese, dunque, i generosi salari ministeriali subiranno un taglio del 20% per i dipendenti, e del 15% per i membri del Consiglio consultativo. Al di là dei militari impegnati nella guerra in Yemen, il taglio riguarderà anche i soldati e chi lavora all’estero. Il tutto sarà accompagnato da una rapida riduzione dei sussidi energetici. Una misura capace di provocare l’ira di quella corposa percentuale di sauditi che vivono in condizioni ben peggiori dei funzionari pubblici. Oltre al taglio dei sussidi, una zavorra sui conti pubblici, gli obiettivi del National Transformation Plan, pubblicato in giugno, sono ambiziosi ma realizzabili: tagliare le retribuzioni del settore pubblico portandole dall’attuale 45% al 40% del budget entro il 2020.
Finora Riad aveva tappato i deficit di bilancio – quest’anno il 13% del Pil – attingendo alle sue grandi riserve valutarie. Certo i 750 miliardi di assets a disposizione erano un cuscinetto invidiato da molti Paesi esportatori di petrolio. Ma l’erosione avvenuta in meno di due anni è stata troppo consistente e troppo rapida. Se alla fine del 2014 le riserve ammontavano a 743 miliardi di dollari,lo scorso febbraio erano già scese sotto i 600 miliardi.
Esortata dal Fondo monetario internazionale, Riad sta cercando di correre ai ripari. Ha in serbo un grande piano per diversificare l’economia. Per arginare la caduta del mercato azionario la Banca centrale saudita sta valutando di soccorrere il sistema bancario con un’iniezione di 5,3 miliardi di dollari. Ma con il petrolio a questi livelli, il cammino per riportare i conti pubblici in ordine e stimolare la crescita del comparto privato (il non petrolifero è il più colpito) non sarà veloce. Le dolorose – e ignorate – riforme strutturali paiono la sola ricetta. I tempi del generoso welfare all’araba, fatto di petrodollari, sono tramontati.