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 2016  settembre 28 Mercoledì calendario

Gli ottant’anni di Berlusconi

Francesco Verderami per il Corriere della Sera
Il visionario Berlusconi continua ad avere una sola e unica visione: Berlusconi. E infatti nei giorni in cui legge con gusto misto a indignazione «la commemorazione dei nemici», lavora alla commemorazione di se stesso con un approccio programmatico e niente affatto consuntivo: «Farò un terzo predellino», dopo quello di Casalecchio di Reno e dopo quello di Milano. Se glissa ancora sulla data c’è un motivo, lo si intuisce da un passaggio dell’intervista concessa a Libero dal suo avvocato Ghedini: «A primavera, vogliamo sperare, davanti alla Corte europea l’ingiusta condanna del primo agosto 2013 sarà riconosciuta con tutte le sue anomalie. Il presidente risulterà doppiamente e totalmente innocente».
«Lo so che ci ridono sopra», dice il Cavaliere. È da anni che sente ridere di sé. Fu proprio questo l’argomento con cui accolse Martino ad Arcore in una sera d’estate del 1993: «Caro professore, quando stavo nel campo dell’edilizia e spiegai ai miei collaboratori che volevo costruire una nuova città, loro risero. Quando annunciai all’avvocato Agnelli che avevo acquistato una tv per fare concorrenza alla Rai, lui rise. Quando dissi a Boniperti che avevo preso il Milan per vincere in Italia e nel mondo, lui rise. Ora la prego, se le dico che voglio fondare un partito per andare al governo, non rida».
La futura «tessera numero due» di Forza Italia faticò a restar serio, più o meno lo stesso sforzo che Berlusconi legge sui volti annoiati dei dirigenti azzurri quando – ad ogni riunione – parte con la storia del «complotto» e chiude una decina di minuti dopo con «l’assoluta certezza» che la Corte europea «mi restituirà l’onore». Se il Cavaliere è stato sempre vissuto come un folle, è perché a un visionario nessuno può dar mai ragione. Perciò di quegli scherni non si cura, capace com’è stato (finora) di capovolgere il senso dello slogan sessantottino, e di seppellire gli altri sotto le loro risate. Così, nonostante la torta di compleanno sia stracolma di candeline, Berlusconi non cambia obiettivo né liturgia.
L’intervista a Chi è la plastica rappresentazione di ciò che non pensa davvero e nel profondo di se stesso: l’immagine del «patriarca» che guarda «in modo ancora incerto al futuro», somiglia alla foto con cui si offrì senza filtri e con le rughe per contrapporsi al giovanilismo di Renzi. Certo è sincero quando racconta che, con l’arrivo della malattia «e soprattutto con l’operazione, ho avuto la consapevolezza di essere ormai un uomo di ottant’anni». Ma è nel rendiconto politico, è dopo aver spiegato di esser sceso in campo «solo per impedire l’ascesa al potere dei comunisti», che Berlusconi si tradisce: «Non ho mai sbagliato un colpo».
Eccolo. Non è tanto per l’assoluzione che si concede a fronte dei suoi (numerosi) errori, la dissoluzione di un patrimonio elettorale svanito nella diaspora del Pdl, o le «eccessive distrazioni», come Gianni Letta definiva la vita notturna del Cavaliere. In quel «non ho mai sbagliato un colpo» c’è la proiezione di Berlusconi oltre le celebrazioni del momento, oltre quelle lapidi a nove colonne che confida di rompere «in primavera» per salire sul predellino «per la terza volta». Già in passato, peraltro, aveva applicato lo stesso schema: quattro anni fa lanciò le primarie nel Pdl, con tanto di video in cui spiegò che «il partito si deve aprire al futuro». Due settimane dopo, oplà, Berlusconi si ripropose come l’«indispensabile».
E c’è la prova di quale sia il suo autentico stato d’animo, sta nella reazione con cui Confalonieri commenta da qualche giorno la lettura dei quotidiani: «Uè, ma basta con ‘sti coccodrilli sul Silvio!». Il patron di Mediaset ha un rapporto simbiotico con il fondatore del centrodestra, che non manca mai di parlare dell’amico con cui si stringeva in gradinata a San Siro. «Anche la settimana scorsa dopo la riunione di Forza Italia ne ha fatto cenno», rivela l’ex ministro Matteoli: «Mi ha preso da parte e mi ha mostrato una cornice. Dentro c’era una foto in bianco e nero, sarà stata di sessanta anni fa. Nell’immagine si vedeva l’ingresso di un locale e un’insegna: Ristorante Berlusconi-Confalonieri».
La ditta si è ingrandita per effetto delle smisurate ambizioni di un ottantenne visionario che vede sempre se stesso nel futuro. E che legge il futuro attraverso gli amatissimi sondaggi, dai quali ha tratto il convincimento che i paradigmi ideologici del Novecento sono superati, che le giovani generazioni sono irraggiungibili, che i vecchi strumenti di comunicazione sono obsoleti: «E allora bisogna cambiare». Ma con lui comunque al centro del suo sistema tolemaico. Servirà del tempo per capire se Berlusconi si renderà conto di non poter più comandare ma di poter ancora contare. Il referendum costituzionale potrebbe essere uno spartiacque, se rispetto al desiderio di «dare una lezione a quel bulletto» di Renzi, prevalesse la preoccupazione di non consegnarsi a Grillo: «Perché non vorrei che la vittoria del No passasse nel Paese come un trionfo dei Cinque Stelle».
Gli alti e bassi della riabilitazione, quel mal di vivere che in certi giorni l’ha tormentato più del dolore fisico, sembrano scomparire quando si presenta: un gruppo di industriali gli ha sentito raccontare ancora le barzellette; i dirigenti di Forza Italia gli hanno visto mangiare quattro porzioni di parmigiana; a Brunetta che gli consigliava di comprarsi Mps – «con poche centinaia di milioni pensa che smacco daresti ai compagni comunisti» – ha risposto pronto che non ci pensa proprio: «No no, lì dentro ci sono solo debiti».
E nel tourbillon di appuntamenti, sopra quel caos che gestisce e con cui disorienta tutti, dentro quel caveau di sentimenti dove c’è posto solo per la famiglia e per gli amici di una vita, l’ex premier pensa al suo riscatto, alla prossima primavera, al suo «terzo predellino», come se il tempo fosse un problema altrui. Chissà cosa avrà pensato la primogenita Marina – diventata per il Cavaliere «madre, sorella e figlia» – quando ha saputo che il padre, all’ultima riunione di Forza Italia, ha distribuito a tutti i presenti quel foglio.
La discussione era finita, si era esaurito anche il «fuori programma» su Parisi, con cui Berlusconi aveva saggiato le reazioni del suo gruppo dirigente. E c’era ancora un po’ di tensione sul ruolo del manager, considerato per molti «un intruso», quando il Cavaliere ha fatto capire cosa ha in testa e chi ha in testa davvero quando si proietta nel futuro. In quel foglio erano elencate tutte le realizzazioni politiche di Berlusconi, dal 1994 fino al 2011: «Ripassatele a memoria e citatele quando andate in tv. Il resto non conta». Il visionario non ha cambiato visione.

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Massimo Gramellini per La Stampa
Nell’intervista per i suoi primi ottant’anni, Berlusconi confessa che la politica non lo ha mai appassionato. Detta da uno che è stato tre volte presidente del Consiglio, ha molestato televisivamente gli italiani e fatto persino un accordo con Scilipoti pur di restare al potere, l’affermazione suonerebbe bizzarra, se non fosse la più sincera da lui mai pronunciata. La politica lo ha sempre annoiato. Cenare parando i rutti di Bossi, raccontare barzellette al manichino di Fini, insegnare l’italiano a La Russa, trattare Alfano da statista, fregare sistematicamente D’Alema facendogli credere di essere intelligente. Un lavoraccio per chi era abituato a volteggiare da mattina a sera tra le gambe scoperte di calciatori e ballerine.
Berlusconi ha detestato la politica come Agassi il tennis. Resta da chiedersi perché si sia sottoposto a questo tormento, saltuariamente alleviato dalle cene eleganti di Arcore. Per impedire all’Italia di cadere nelle mani dei comunisti Ciampi e Prodi, dice lui. Ma è troppo modesto. A spingerlo all’estremo sacrificio è stato il dovere morale di accrescere il Pil (prodotto ingordo lordo) dell’unico italiano che gli sia mai stato veramente a cuore, a parte forse Massimo Boldi, e che ogni mattina gli sorrideva davanti allo specchio.

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Paola Di Caro per il Corriere della Sera
Alla fine, da dietro la scrivania del suo ufficio a Montecitorio — bandiera della Lega alle spalle, sul mobiletto accanto foto con lui e Berlusconi abbracciati — chiede un «favore»: «Se può, scriva col cuore». Perché il lungo rapporto tra il Senatùr e il Cavaliere è uno strettissimo e tumultuoso sodalizio politico, ma anche la storia di una grande amicizia. «Gli voglio bene», dice Umberto Bossi dell’alleato storico, che alla soglia degli 80 anni «non ha chiuso la sua stagione. Ha lasciato il segno nella politica, ma ancora serve il suo tratto per cambiarla». E — gli dirà domani quando gli farà gli auguri per il compleanno — il momento per tornare in campo è ora: «Ha passato mesi durissimi, quell’operazione comporta dolori insopportabili. E quando soffri così, o ce la fai a girare la manopola o non lo superi. A me successe di afferrarla quando per la prima volta, nella clinica Svizzera dove ero ricoverato, ripresi a fare i primi passi. Lui ha già cominciato a girarla. Tra poco potrà tornare nelle piazze, a parlare al suo popolo: gli basterà per far risalire FI, anche la Lega ne ha bisogno».

Perché non crede Bossi che Berlusconi pensi a mollare: «Me lo dice ogni volta, “lascio la politica solo quando la lasci tu”». E lui, il Senatùr, non ne ha intenzione: «Io sono stato aggredito dalla magistratura, e per il bene della Lega ho fatto un passo indietro. Lui deve resistere». Non è ora di passare la mano: «L’ha pensato solo rispetto ai figli, a Piersilvio in particolare. Ma per il resto “FI — dice — l’ho fatta io, perché dovrei consegnarla a chi aspetta solo la pappa pronta?”».

Sospira Bossi: «Il rinnovamento serve, ma noi vecchi ci credevamo, avevamo ideali. Questi nuovi pensano solo alla carriera». Altra pasta, l’amico Silvio: «È simpatico, vicino alla gente, umano. Al primo consiglio dei ministri dopo la vittoria del ’94 ci disse serio: “Comportatevi bene, che il titolo di ministri vi resterà tutta la vita”, pensava fosse una cosa nobiliare, che si tramanda... È sempre stato semplice dentro Berlusconi, e come diceva Leopardi gli uomini più importanti sono quelli semplici».

Che poi «all’inizio avevo il sospetto che come tanti ricchi non gli importasse molto dei lavoratori. Macché: lui si preoccupa per tutti. Una volta qui fuori dalla Camera una signora mi chiese aiuto, voleva vendere un rene per pagare la clinica a suo marito malato. Lo chiamai: “Silvio, c’è una persona che solo tu puoi aiutare”. La ricevette immediatamente, ascoltò, staccò l’assegno per pagare tutte le spese. E quante volte l’ha fatto».

Informale: «La canottiera a Villa Certosa? Mi chiamò all’improvviso, io ero in Sardegna da un amico, gli dissi “ma sto in relax, non ho nemmeno una camicia”. E lui: “Ti mando a prendere, che importa cosa hai addosso?”». Ossessivo: «Mi voleva convincere a tingermi i capelli: “Ti levano vent’anni, è importante!”. E io: “Sono troppo pigro, pensa se ogni settimana devo farmi il ritocco...”». Appassionato: «I lunedì di Arcore andavamo avanti per ore io, lui e Tremonti a parlare solo di politica, davanti alla solita minestrina, che quella si mangiava lì». Curioso: «Facevo da tramite tra lui e il mio figlio più piccolo, tifoso del Milan. Uno gli dava i suggerimenti su chi comprare, l’altro gli svelava cose di spogliatoio». Sospettoso: «Il suo difetto è ascoltare troppa gente, fidarsi di chi lo monta contro questo o quello. Si convinse che Tremonti volesse scalzarlo, sbagliò».

Sbagliò ancora, Berlusconi: «Quando si separa dalla moglie, resta senza la famiglia, gli amici, un uomo può sbandare. Avrei dovuto dirglielo con più chiarezza». Ma «si è rialzato, eccome: pensavano di punirlo mandandolo a curare i vecchietti malati, e invece “sto bene lì, faccio pure gli scherzi quando li imbocco, sapessi le risate”, mi raccontava». Ora c’è l’ultima salita, tornare in campo: «Può farcela, anche il cuore è un muscolo, si allena. Al mio compleanno (il 19 settembre, 75 anni, ndr ) è notte e mi telefona, tutto ansimante: “Silvio, stai bene”? “Sì, è che ho fatto le scale di corsa per farti gli auguri prima della mezzanotte!”. Bene, vuol dire che è guarito».


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Alessandra Longo per la Repubblica
«Sto guardando in modo incerto a quello che può essere il mio futuro». Pronunciate da Silvio Berlusconi, sono parole che certificano uno stato d’animo nuovo, una malinconia inedita. Alla vigilia del suo ottantesimo compleanno, che festeggerà domani in famiglia, Berlusconi sceglie di concedere «una grande esclusiva» a «Chi», settimanale di casa, in edicola da oggi. In prima pagina maxi foto dell’ex presidente del consiglio con la moltitudine di nipoti e una scritta-messaggio: «Sono loro il mio futuro».
Non vuole regali, non vuole celebrazioni, parla da persona improvvisamente fragile: «Nella mia vita non ho mai pensato all’età. Al contrario ho sempre vissuto come se avessi quarant’anni - dice al direttore Alfonso Signorini - poi è arrivata la malattia e con l’operazione che ho subito è arrivata forte la consapevolezza che sono un uomo di 80 anni».
Mentre il centrodestra ancora sbanda alla ricerca di un leader, Berlusconi ripercorre la sua vita, saltando passaggi non graditi, e descrivendo a se stesso un bilancio positivo: «La politica non mi ha mai appassionato, mi ha fatto spendere tempo ed energie. Ma dovevo scendere in campo per impedire l’ascesa dei comunisti al potere». I comunisti, la sua ossessione. Errori zero: «Non ho sbagliato un colpo né in politica interna né in politica estera. E non sono caduto per colpa mia». Fragile, malato, ma sempre lui: «Amici in politica? Non me ne viene in mente nessuno ma non sono tipo da portare rancore».
Signorini gli chiede se ha rimpianti. Sì, ne ha uno ma non ha a che vedere con le leggi ad personam, con la cacciata di Fini, con le sortite all’estero: «Il mio rimpianto è di non aver potuto lavorare sul Milan come avrei voluto». Ovviamente per colpa del tempo perso con gli avvocati incaricati di seguire «i 73 processi politici» che lo hanno visto protagonista per ben «3600 udienze».
Alla vigilia degli 80 anni prevale il privato: «Cinque figli e dieci nipoti fanno un patriarca.
E io questo mi sento». Con una figlia che più di altri sembra entrargli nel cuore: «Marina per me è madre, sorella e figlia». Ha sostituito la madre Rosa: «Quando è morta per me è stato il momento più doloroso». E’ il mondo perduto di un uomo di 80 anni che ha memoria netta dei fatti lontani, per esempio del giorno in cui tornò a casa, dalla Svizzera, il padre Luigi, antifascista, e «io lo riempivo di baci».
In ossequio al settimanale patinato, un accenno alle sue due grandi storie, con Carla Dall’Oglio e Veronica Lario. Ammette: «L’amore è stato importante ma nella mia vita il lavoro ha spesso preso il sopravvento». Su Francesca Pascale, ultima compagna, una precisazione: «Non c’è alcuna crisi, come si ostinano a scrivere i giornali». Domani festa di compleanno tranquilla, menu sobrio, niente pesce, celebrazione lievemente mesta nelle parole di un leader: «La cosa che ho realizzato è che passerò più tempo con i miei figli e nipoti. Ed è giusto così ». Di colpo Silvio Berlusconi sembra rendersi conto dell’anagrafe e non se la sente di sfoderare l’ottimismo di sempre, evoca un futuro «incerto». E sembra davvero non interessargli troppo come andrà a finire la battaglia per una nuova leadership nel centrodestra.