Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  settembre 28 Mercoledì calendario

Breve storia del Ponte sullo Stretto

Solo una cosa: adesso chi glielo dice a Vincenzo Fortunato che si ricomincia daccapo, e lui dovrà fare le valigie? Da tre anni e mezzo l’ex braccio destro di Giulio Tremonti fa il liquidatore della società Stretto di Messina. L’incarico gliel’ha dato Enrico Letta un mese dopo essere arrivato al governo con un decreto dove c’era scritto che per smantellare la società pubblica che avrebbe dovuto gestire la realizzazione del Ponte fra Scilla e Cariddi non avrebbe dovuto impiegare più di un anno. E già quella era una follia. Com’è infatti possibile fissare per legge un termine simile in un Paese dove le liquidazioni durano quarant’anni?
Secondo il decreto tutto doveva essere finito entro il 15 aprile 2014: è il 28 settembre 2016 e siamo ancora a carissimo amico. Non è colpa di Fortunato, sia chiaro. Ma del pasticcio infernale che è questa storia del Ponte. Con le imprese aggiudicatrici dell’appalto riunite nel consorzio Eurolink guidato da Impregilo, c’è in ballo una causa per risarcimento danni da cui difficilmente lo Stato potrebbe uscirne indenne. Parliamo di cifre enormi: 790 milioni di euro più gli interessi. Somma alla quale si devono poi aggiungere i 350 milioni già spesi in trent’anni per il funzionamento della società e i progetti dell’opera.
Non sbaglia chi interpreta l’annuncio di Renzi a favore del Ponte come una mossa per recuperare terreno in vista del referendum sulla riforma costituzionale in una Regione con oltre 5 milioni di abitanti dove il consenso per il Pd è in caduta libera. Ma niente di più facile che la promessa di far ripartire il Ponte abbia pure una qualche relazione con questa minacciosa spada di Damocle: noi riapriamo i cantieri e tu ritiri la causa. Di sicuro, la voce della verità è quella di Gianni Vittorio Armani, il presidente dell’Anas, la società pubblica che controlla l’82% dello Stretto di Messina: «La cosa importante è che però poi, una volta deciso cosa fare non si torni più indietro. Il Paese non se lo può permettere...».
Perché non si contano più le volte in cui un governo italiano ha cambiato idea. E questo, indipendentemente dal merito della questione, non è certo stato un buon viatico per l’immagine di un Paese al quale non tutti, all’estero, sono disposti a concedere il massimo dell’affidabilità.
Ricordiamo com’è andata. Nel 1992 Bettino Craxi promette in campagna elettorale che tornando a Palazzo Chigi costruirà il Ponte. Ma scoppia Tangentopoli. Due anni più tardi è il turno di Silvio Berlusconi, che però manda in archivio il progetto. Romano Prodi nel 1996 lo farebbe pure, quel Ponte: dieci anni prima da presidente dell’Iri l’aveva benedetto. Ma nell’Ulivo sono quasi tutti contrari. E si arriva al fatidico 2001 della legge obiettivo. Il Ponte riparte, e prima di andarsene Berlusconi firma il contratto con l’Impregilo, pensando di aver legato le mani al successore. Sbaglia. Con il Prodi bis nel 2006 l’opera finisce sul binario morto. Tuttavia il centrosinistra dura meno di due anni: ecco di nuovo Berlusconi ed ecco il Ponte che ritorna.
La strada sembra definitivamente spianata quando a ottobre 2011 passa in Parlamento una mozione, appoggiata dallo stesso governo Berlusconi, che toglie i soldi al progetto. Impazza la crisi finanziaria e Mario Monti coglie la palla al balzo. Mette il general contractor con le spalle al muro per decreto e il contratto decade. È il primo marzo 2013: il 15 aprile la Stretto di Messina finisce in liquidazione. Il decreto dovrebbe anche limitare i danni a 300 milioni di risarcimento possibile, più i 350 spesi. Ma parte lo stesso la causa miliardaria: lo Stato rischia di pagare una fortuna per un’opera che non c’è. E la giostra ora si rimette in moto. Con la previsione di nuovi posti di lavoro che passa da 40 a 100 mila... C’è qualcosa di male a essere ottimisti?