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 2016  settembre 27 Martedì calendario

Citati raccoglie in un libro tutti i suoi viaggi

Ma dove li tiene, Pietro Citati, tutti i suoi cammelli? Te lo chiedi ricordando l’aneddoto dello storico Douglas Greenberg sul Gran visir Abdul Kassem Ismael, il quale nel X secolo possedeva una biblioteca di 117 mila libri che in viaggio caricava su 400 cammelli in ordine alfabetico. Il minimo, per un intellettuale onnivoro.
Certo, i tempi sono cambiati. E imprese come quella di Guglielmo da Rubruk, che dopo essere partito da Costantinopoli ai primi di maggio del 1253 impiegò ventisette mesi per raggiungere la terra dei Mongoli, l’«altro mondo», passando «steppe sconfinate come il mare», non sono più possibili. Un aereo, poche ore di volo, sei arrivato. Un hard disk e ci sta tutto: libri e cammelli. La curiosità, però, è rimasta intatta. E così quel senso di inquietudine inappagata che lo scrittore fiorentino riconosce proprio nel viaggiatore fiammingo: «Rubruk vide moltissime cose. Ma quando fu di ritorno, a Cipro e in Palestina, ebbe l’impressione di non aver compreso, o di avere compreso confusamente, o di avere tralasciato migliaia di sensazioni e osservazioni, forse proprio quelle più rare e essenziali». Aveva ancora bisogno di vedere, di sapere, di annusare, di capire. Incontentabile.
Ed è questo il percorso che Citati segue nel libro Sogni antichi e moderni, che esce oggi da Mondadori. Un lungo lungo viaggio. Coltissimo. Raffinato. Arricchito qua e là da chicche memorabili come il «bagaglio al seguito» di Charles Dickens in partenza per Losanna: «La moglie Kate, la cognata Georgine, i sei figli (l’ultimo di sette mesi), tre domestiche e il cane Timber».
Un viaggio che comincia col libro di Giobbe, «il testo più difficile e arduo dell’Antico Testamento» («Spiegare Giobbe», diceva san Gerolamo, «è come cercare di tenere nelle mani un’anguilla o una piccola murena: più forte la si prende, più velocemente sfugge di mano»), e si conclude con la speranza tradita di Dietrich Bonhoeffer. Il grande teologo tedesco che, turbato dai dubbi sull’America («Ma qui, negli Stati Uniti, esiste ancora il cristianesimo?») scoprì invece proprio lì, sulla note degli spirituals, «un segno vivissimo della sua parola: nelle chiese dei neri, dove sentì predicare con forza il Vangelo vissuto» e lì trovò la forza per tornare in Germania, tra i cosiddetti «cristiano-tedeschi» in camicia bruna («con questo tipo di Chiesa non abbiamo nulla in comune»), dove sarebbe stato arrestato dalla Gestapo, rinchiuso in un lager e infine impiccato.
Alla Scuola Normale di Pisa dove si laureò, ha raccontato Citati, «regnava allora una meravigliosa indisciplina, come nelle università medioevali». Meravigliosa perché creativa. Assetata di nuovi libri. Traboccante di interessi per tutto e tutti. Coltivata poi per tutta la vita.
Dal sogno di Achille al quale appare Patroclo («Sono disteso fuori dal portale dell’Ade, e le altre ombre non mi permettono di unirmi a loro oltre il fiume. Dammi sepoltura») alla vita di Antonio che, educato da Cesare «alla discrezione e alla misura», scelse la vita «sotto il segno di Dioniso. L’ubriachezza a tutte le ore, le spese eccessive, il suo avvoltolarsi tra le donne, passare il giorno dormendo o vagando frastornato e con la testa greve, le notti in bagordi e spettacoli: l’amicizia coi mimi, i buffoni, i giocolieri, i flautisti, i citaredi...».
Ed ecco la riscoperta di luoghi magici come «l’oasi del Fayum, presso il lago Moeris, a circa cento chilometri dal Cairo: una delle zone più ricche dell’Egitto, con giardini, orti e vigneti», dove i soldati di Alessandro si stabilirono fondendo religioni e costumi in un «abbraccio di razze e di idee». E la Cina della dinastia Tang che, tollerante e cosmopolita, accolse nel 635 Aluoben (un missionario siro-orientale di nascita persiana, arrivato lì «avendo scrutato i segni delle nuvole azzurre» ed «esaminando le note musicali dei venti») con amicizia. Il sovrano fece anzi tradurre le scritture cristiane e promulgò un editto: «Questi insegnamenti conducono alla salvezza tutte le creature, e da essi traggono benefici tutti gli uomini». Era la «Religione della luce».
E poi ancora la magia del Giappone del XX secolo, quando le dame eleganti «trascinavano con sé i grandi dignitari a osservare la luna, che trapelava dalle nuvole e dalle nebbie: contemplavano i fiori dell’albero di susino, i ciliegi di montagna, i pini, le oche selvatiche che attraversavano starnazzando il cielo» e «l’amore era l’arte suprema» così come «praticare l’eros senza parlarne o sfiorandolo appena con le parole».
E di colpo, nel mondo di Citati, irrompono i Vichinghi, «navigatori, guerrieri, mercanti crudeli e abilissimi», ma insieme dotati di «un dono che gli uomini di guerra posseggono di rado: conoscere gli altri, “mandare a memoria le vicende storiche di tutti i popoli”, adottare i costumi delle genti sottoposte: assimilarsi e assimilare, trasformarsi e trasformare» fino a coprire la Norvegia di «uno scuro manto di piccole chiese di legno» dette stavkirke che «ci commuovono assai più delle grandi cattedrali di pietra».
E la scorribanda di cultura, teologia, colori, aneddoti, costumi, paesaggi, fiori, amori che ruotano intorno a quel perno vitale, l’avventura umana, continua passando dai lupi grigioblù e dalle cerbiatte selvatiche di Gengis Khan alla meravigliosa Santa Sofia, la cui volta sembra «un infinito cielo stellato», ma «se dalla cupola si guardava il pavimento, ecco, le pietre tumultuavano, ondeggiavano, oscillavano, sembravano un ardimentoso mare in tempesta». E poi la conquista di Gerusalemme raccontata da Raimondo d’Aguilers («Vi basti questo: nel Tempio e nel portico di Salomone si cavalcava nel sangue fino alle ginocchia e alle briglia») e la disfatta cristiana ai Corni di Hattin, dopo la quale i cavalieri franchi «erano venduti come schiavi sul mercato di Damasco: uno schiavo in cambio di un sandalo». E ancora il rimpianto per i giardini e le acque della civiltà azteca e le malinconie di La Rochefoucauld: «In tre o quattro anni mi si è visto ridere sì e no tre o quattro volte». E le donne turche nelle lettere di Lady Montagu dove i veli, oggi simbolo di sopruso, venivano visti come occasione di libertà: «Non c’è modo di distinguere la gran signora dalla sua schiava: neppure il marito più geloso può riconoscere la moglie».
E ancora i «cinquantatré giorni di indemoniata dettatura» bastati a Stendhal per scrivere La Certosa di Parma e i triangoli amorosi di Lou Salomé sul lago d’Orta con Paul Rée e Friedrich Nietzsche... E Anton Cechov che, trasferitosi a Jalta in cerca di inverni più dolci per combattere «i rapporti illegittimi con i bacilli», si innamora di una «casinetta tartara» tanto carina ma è presto asfissiato dalla noia: «È impossibile lavorare, impossibile e impossibile, assolutamente impossibile».
Unico svago: acchiappare i topi. Svago del quale c’è da dubitare abbia bisogno Citati: come potrebbe mai, lui, annoiarsi?