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 2016  settembre 26 Lunedì calendario

La vaniglia è il nuovo oro

In queste ore il telefono squilla in continuazione. «Mille chili, a quanto li vende?». «Duemila, a quanto me li fa?». Le aziende alimentari italiane sono a caccia di vaniglia naturale, più apprezzata di quella sintetica soprattutto ora che biologico e «sano» sono concetti molto in voga. E così la «signora della vaniglia» Edith Elise Jaomazava, 46 anni, da 12 titolare di una società import-export di spezie con sede a Torino, marca stretti i coltivatori del Madagascar, il Paese da cui proviene l’80 per cento della vaniglia mondiale, per avere informazioni sul prezzo.
La risposta è quella che si aspettava: proibitivo. Duecentoventicinque dollari per un chilo di baccelli della varietà bourbon, la più pregiata, che considerando le spese di trasporto, le tasse e il margine di guadagno diventano 380-400 euro per il consumatore finale. «Una cifra altissima – racconta Edith —. Due anni fa la stessa quantità la vendevo a 110 euro». Per non parlare dell’estratto, preziosissimo perché per produrne due grammi ne servono cento di semi, passato dai 1.250 euro al chilo del 2012 agli undicimila di oggi.
Insomma, la vaniglia naturale è il nuovo oro. Una materia prima difficile da reperire e lavorare, i semi profumati sono i frutti delle orchidee tropicali, che nascono solo in alcune zone, che vanno impollinate a mano e i cui baccelli devono essere essiccati per sviluppare l’aroma, prodotta nel mondo in poche migliaia di tonnellate – contro le 18mila della variante sintetica – richiesta ovunque e seconda come prezzo al solo zafferano.
La colpa dei rincari, come spiega l’associazione Assoerbe che riunisce diversi importatori di spezie italiani, è da attribuire a tanti fattori: un clima bizzoso, la tendenza dei coltivatori malgasci a prelevare prematuramente i baccelli dalle piante per paura dei furti, una produzione oggettivamente inferiore alla domanda ma anche speculazioni e affari poco chiari. «Da quando le multinazionali hanno deciso di usare i semi naturali al posto dell’aroma sintetico, l’interesse per il Madagascar è aumentato – dice Edith —. Io lì ci sono nata, la mia famiglia ha una piccola piantagione di vaniglia, so bene com’è la situazione. C’è chi compra i terreni dei contadini a due soldi per poi rivendere piante e semi a cifre altissime. E le grandi aziende hanno un enorme potere nell’influenzare il mercato a proprio vantaggio».
Il problema sono le conseguenze: «È da circa un anno che la vaniglia costa tanto e sta raggiungendo picchi da record. Per noi importatori è un problema: c’è richiesta ma poi la maggior parte dei clienti non compra. In pochi possono permettersi cifre simili», spiega Edith che per tenere in piedi la sua società (Atelier Madagascar) ha dovuto iniziare a vendere altre spezie. «Compro sempre dai coltivatori del mio Paese, voglio aiutarli – spiega —. Ma sono preoccupata per la vaniglia. I semi naturali sono sempre più richiesti da distillerie, industrie dolciarie, gelaterie artigianali e ristoranti, dando una mano all’economia malgascia: ma con questi prezzi il rischio è che tutti tornino a usare la vaniglia sintetica». Cioè vanillina creata in laboratorio con molecole estratte da chiodi di garofano, noce moscata e catrame dei pini.
«Non ci sono rischi per la salute – spiega Ciro Vestita, medico e docente in Fitoterapia all’Università di Pisa —. Ma certo si perde in qualità. La vaniglia naturale è infinitamente più profumata e dotata di proprietà omeopatiche. Protegge lo stomaco, per esempio, ed è energizzante». Lo sa bene Francesca Giorgetti, che a Milano gestisce il negozio «Tutte le spezie del mondo»: «Me la chiedevano in tanti, ora non la tengo più, costa 35-40 euro alla confezione contro i 20 di un anno fa. Troppo. Peccato».