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 2016  agosto 31 Mercoledì calendario

Diciotto deputati e diciannove senatori, il 23 per cento dell’M5s ha lasciato il partito

Diciotto deputati e 19 senatori. Sono i numeri dei parlamentari grillini che, dall’avvio della legislatura in poi, hanno lasciato il M5s per approdare nei più diversi lidi. Rappresentano quasi il 4% del Parlamento e ben il 23% degli eletti pentastellati. Se avessero avuto un minimo di esperienza e preparazione politica, avrebbero potuto costituire, purché rimasti insieme, una rispettabile formazione parlamentare e tentare un grillismo dissidente. Hanno provato, senza farcela.
Impossibile generare un M5s bis, un movimento pentastellato senza Beppe Grillo. Fra l’altro, gli eletti grillini la pensano davvero sulla base dell’uno vale uno: c’è ben poco che li unifichi, come prospettive politiche. Si era visto fin dall’inizio, con i tormenti di chi voleva aprire al Pd: era una minoranza, ampiamente sostenuta dai mezzi d’informazione, che la vedevano come strumento per il centro-destra nelle larghe intese. L’incapacità di collegarsi è confermata dai tentativi di costituire componenti autonome nel gruppo misto. Si dissolse presto il Gruppo Azione Popolare, non prima di aver mutato nome in Gruppo Azione Partecipazione popolare. Poco più di un anno durò a palazzo Madama la componente Italia lavori in corso, mentre rimane in vita (una senatrice, Laura Bignami) Movimento X. Come si vede, non manca la fantasia nell’ideare sigle. A Montecitorio ha una decina di aderenti Alternativa libera-Possibile, che accomuna cinque ex pentastellati (Massimo Artini, Marco Baldassarre, Eleonora Bechis, Samuele Segoni e Tancredi Turso) e cinque seguaci di Pippo Civati.
Un buon numero di deputati (Alessandro Furnari, Vincenza Labriola, Ivan Catalano, Cristian Iannuzzi, Mara Mucci e Aris Prodani) e di senatori (Marino Mastrangeli, Maria Mussini, Cristina De Pietro, Ivana Simeoni, Giuseppe Vacciano e Serenella Fucksia) stanno nei gruppi misti senza aver aderito o formato alcuna componente: per dirla in linguaggio politico transalpino, sono senza etichetta. La sinistra pura, rappresentata da Sinistra italiana-Sel, ha attratto a sé Adriano Zaccagnini alla Camera e Fabrizio Bocchino e Francesco Campanella al Senato.
L’antico partito di Antonio Di Pietro, Italia dei valori, privo di eletti è tornato al Senato rastrellando ben tre ex grillini: Alessandra Bencini, Maurizio Romani e Francesco Molinari. Tre sono gli eletti pentastellati di Montecitorio intruppati in Gal (Grandi autonomie libertà, gruppo prevalentemente vicino al centro-destra): Paola De Pin, Monica Casaletto e Bartolomeo Pepe. Altri due sono approdati nel gruppo per le Autonomie, schierato nel centro-sinistra: Lorenzo Battista e Luis Alberto Orellana. Con la maggioranza di governo stanno le senatrici Adele Gambaro (fra i verdiniani di Ala) e Fabiola Anitori (in Area popolare Ncd-Udc). Un solo eletto grillino è finito a destra: Walter Rizzetto, aderente a Fd’It, mentre ben cinque suoi colleghi deputati sono entrati nel Pd: Alessio Tacconi, Paola Pinna, Tommaso Currò, Sebastiano Barbanti e Gessica Rostellato.
In totale i 37 parlamentari sono quindi finiti nei gruppi misti, senza adesione specifica (6 dep. e 6 sen.), nel Pd (5 dep.), in Alternativa libera (5 dep.), in Sel (1 dep., 2 sen.), nell’Idv (3 sen.), in Gal (3 sen.), nelle Autonomie (2 sen.), nei Fd’It (1 dep.), in Ala (1 sen.), in Ap (1 sen.) e nel Movimento X (1 sen.).
La rielezione si prospetta, per molti o forse per quasi tutti, un bel problema, perché si tratta di personaggi senza alcun pacchetto di voti, tutt’al più apprezzati (alcuni) per il lavoro svolto in commissione e in aula, ma non in grado di attrarre seguito elettorale. Spesso sono anime in pena, allo sbando politico, alla ricerca di un approdo. Sperimentati i fasti politici che prima contestavano, desidererebbero quasi tutti rinverdirli, ma la loro incertezza politica li condanna sovente in partenza. L’elenco prima riportato del destino dei cani sciolti ex pentastellati riporta infatti solo l’approdo odierno, sovente giunto dopo faticose giravolte. Citiamo il caso, davvero limite, del senatore Pepe. Eletto nel M5s, passato presto nel gruppo misto, ha aderito prima a Italia lavori in corso, poi a Movimento X, successivamente è diventato l’unico senatore per la Federazione dei verdi. Lasciato il misto, è passato in Gal, ma ha serbato la sigla verde, facendo aggiungere Federazione dei verdi alla denominazione del gruppo. All’evidenza insoddisfatto del mondo ecologista, ha prima rappresentato il poco noto Movimento base Italia e, da ultimo, l’altrettanto sconosciuto Movimento politico Libertas, a volta a volta facendo mutare la denominazione ufficiale del gruppo Gal.