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 2016  agosto 31 Mercoledì calendario

La rete vista da Claudio Sabelli Fioretti, un anziano YouTuber

«Ma che vacanza in montagna, macché Lavarone, sono in onda dal 1° di questo mese». Complice l’agosto vacanziero, l’intervista a Claudio Sabelli Fioretti (Vetralla, 1944), inizia con una piccola gaffe: il principe dell’intervista (La Stampa, Sette), poi star radiofonica, con Un giorno da pecora, è tornato al microfono con Me Anziano You Tuber, in onda dal lunedì al venerdì su Radio2 dalle 10,30 al 12.
L’anziano è lui e lo youtuber, ossia un protagonista di YouTube, è Claudio Di Biagio, che, con Non aprite questo tubo, ha più di 200mila iscritti.
I due raccontano il magico mondo del mega-sito dedicato ai video, cantandone le «magnifiche sorti e progressive», ma anche segnalandone l’insopportabile vuotezza. Un modo per parlare di socialnetwork e del suo lato oscuro e un po’ violento, grazie all’epiteto coniato da Enrico Mentana: «Webete».
Domanda. Come si trova l’Anziano immerso nei video, anche un po’ pazzi, di YouTube?
Risposta. Realizza d’avere una certa età, ossia scopre che ci sono persone che non fanno come me e lei...
D. Ossia?
R. Ossia torniamo dal lavoro, mangiamo, guardiamo la tv, andiamo a dormire.
D. Loro che cosa fanno, Sabelli?
R. Loro la tv non la guardano mai e non leggono neppure i giornali, guardano il pc o al massimo l’iPad, anzi il tablet se lo portano a letto. E guardano cose diverse da noi, eh.
D. I video di YouTube.
R. Bravo. Quello è un mondo alieno, ci trova di tutto, dalla gastronomia al viaggio, a quelli che insegnano a truccarsi, ai tutorial su ogni cosa, ai gamer. Sa chi sono i gamer?
D. Avendo anche un figlio 12enne, ahimé sì: sono quelli che giocano a videogiochi e insegnano a giocare, con commenti variamente spiritosi.
R. Tipo Favij.
D. Lorenzo Ostuni di Borgaro Torinese (Torino) che spiega i giochi elettronici a 3 milioni di persone.
R. Favij guadagna così tanto che fra un po’ si compra lui il Corriere della Sera.
D. Perché Urbano Cairo non le va bene?
R. No, anzi, mi va benissimo, sono cairota ante-marcia, era per dire che questi, ridendo e scherzando, fanno i soldi.
D. Che idea se ne è fatto, seguendoli e parlandone col suo co-conduttore?
R. Sono personaggi singolari, vivono in un mondo loro che non si mischia mai col nostro. Però è anche un mondo che ti costringe a fare i conti con le tue convinzioni.
D. Vale a dire?
R. A volte, dinnanzi a certo cazzeggio, sbrocco un po’ e mi sento immediatamente mio padre e la sua generazione, quelli che ci urlavano addosso: «Voi, capelloni e comunisti!».
D. Qualcuno ne ha osservato?
R. Ora sono sotto gli occhi di tutti. Parlo Greta Menchi, che ha incontrato anche Papa Francesco, Cleo Toms che ha pubblicato anche un libro con Mondadori, o come Sofia Viscardi, autrice di Segrate anche lei, che è stata pure intervistata da Giulio Giorello per la Lettura del Corriere. Lui pareva che parlasse con Elsa Morante, lei che fosse appena uscita dalla Scuola di Francoforte.
D. Il mondo alla rovescia.
R. Del valore c’è. I social sono una esportazione democrazia, prima la comunicazione era in mano a pochi: i network, i quotidiani, le tv, le radio, gli editori. E non facevano entrare nessuno. Per farlo dovevi comprare le sigarette ai redattori anziani per anni e poi, forse, diventavi abusivo. Questi ci fregano: fanno quello che vogliono senza chiedere a nessuno, con mezzi tecnici, elementari e poco costosi. Alcuni a 16-17 anni si sono costruiti le loro piccole start-up e guadagniamo più di me, lei e mezza redazione di ItaliaOggi messi assieme.
D. Ma come contenuti, cosa gliene pare?
R. È il trionfo del vuoto, per la maggior parte. I libri della Menchi sono come quelli da colorare che si danno ai bimbi di 3-4 anni quelli di Favij, sono pieni di «fregnetti», di fotografiette, di scritturine, insomma infantili.
D. Però vincono loro e questo è un dato. Che effetto le fa?
R. Noto che molti non se ne sono neppure ancora accorti. Un po’ come la Lega nel 1992: non se la cagava nessuno e poi ha conquistato il Nord. Questi li ignoriamo e ci tolgono il pane di bocca e scoperanno le nostre donne (ride).
D. Allarghiamo lo sguardo, Sabelli. È di queste ore la polemica di Enrico Mentana contro una certa idiozia violenta sui social. Lui ha dato del «webete» a un tizio che diceva scempiaggini. Lei cosa pensa di questo lato oscuro della rete?
R. Secondo me molto dipende dal peccato originale dell’anonimato.
D. Il fatto che molti se ne facciano schermo?
R. Esatto. Unito alla grande libertà che è offerta da questi mezzi. Il combinato disposto porta qualcuno ad avere una sensazione di onnipotenza. E invece uno non può dire: «Goffredo Pistelli è uno stronzo».
D. Vorrei vedere...
R. No dico, non è solo questione di educazione: uno non può dire quel che vuole solo perché c’ha un nickname.
D. A volte c’è chi ne fa un uso deliberato della mistificazione: giorni fa è comparso un cartello che attaccava Matteo Renzi perché aveva messo l’ex-terrorista alla guida della Protezione civile.
R. Sì, perché poi s’è trasferito qui sopra il vecchio effetto «l’ho sentito in tv», per cui se uno vede passare una cosa, la prende per oro colato e la condivide o la rituitta. Basta un click, un cazzo di click! – mi scusi eh – ma prima, per scrivere una lettera al giornale, ci volevano un paio d’ore. Oggi, click, e rilanci nell’universo modo. A volte senza pensarci. Però sul terremoto...
D. Sul terremoto?
R. Si è visto anche il bello della rete, una grande mobilitazione di solidarietà.
D. Ha ragione. Senta Sabelli, ma lei mi pare diventato molto esperto a livello digitale o sbaglio?
R. Ma no, ma no. Io sto un po’ su Facebook, mi sono appassionato alla funzione «live».
D. Ossia le dirette video.
R. A sera, un po’ prima di mezzanotte, in pigiama, commento i fatti della giornata, in dialogo con un po’ di amici. Specularmente a quello che Nicola Porro fa alla mattina, con la sua rassegna stampa. Ma quanto lavoro fa? E chi glielo fa fare? Poi conosco poco Twitter, non so cosa sia Instagram, figurarsi Snapchat. Ho il vecchio blog.
D. Quello con le interviste. Dovrebbero farlo patrimonio dell’umanità.
R. Parleremo con l’Unesco ma, per dirle, a volte faccio confusione con le email.
D. Non ci credo.
R. È così. Una volta, volevo inoltrare la mail di un certo avvocato a mia moglie, chiosando su quanto fosse stronzo.
D. E che successe?
R. Che la mandai anche a lui. E non ne fu contento.
D. Immagino. Ma della politica 2.0 che ne pensa?
R. Nooo, sbagliato. Un politico dovrebber avere un rapporto serio con l’elettorato, parlare in parlamento, con le conferenze stampa, coi comizi, mica in 140 caratteri, scherziamo? Ha cominciato Renzi e sono andati tutti dietro.
D. È la disintermediazione: ma il premier non tuitta soltanto, fa anche le dirette Facebook rispondendo. Come lei.
R. Che uno diventi una conferenza stampa perenne lo trovo un tantino populista. Guardi cosa è diventato Maurizio Gasparri che fa due tweet al minuto.
D. E poi s’arrabbia, e a volte manda a quel paese...
R. Beh, per quello ha ragione, poverino: lo offendono e lui non ci sta. L’unico che non usa i social è Massimo D’Alema: credo che consideri la cosa un po’ da deficienti. Eppure...
D. Eppure?
R. Eppure lui, a un certo punto, disse che non avrebbe più parlato coi giornali ma che sarebbe andato solo in tv, dove non c’era modo di mistificarne il discorso.
D. Era l’epoca delle jene dattilografe e del Malox.
R. Di fatto è rimasto lì in televisione.
D. Non vorrei incitarla a fare discorsi da Anziano: ma non trova che sia passato più di un secolo fra il mondo dei social e un certo giornalismo?
R. La velocità è pazzesca. D’altronde non è passato tanto tempo da quando andavo da Roma a Milano, in auto, con mia madre, e ci mettevamo, quando andava bene, un po’ meno di una giornata, commentando: «Stavolta abbiamo battuto tutti i record». Quanto alle mie interviste, ricordo quanta fatica costasse sbobinarle. Oggi fa tutto il computer.
D. Sabelli, non le pare che questo mondo del web, non sia manipolabile a piacimento dal Grande Fratello di turno?
R. A me pare che i potenti non possano far niente. Anzi, sono dovuti entrare anche loro nel web, coi loro giornali. Prendiamo uno degli azionisti del Corriere, come si chiama il banchiere?
D. Giovanni Bazoli, ma stava con Cairo, Sabelli, non ha detto d’essere un cairota?
R. Sì, ha ragione. Un potente qualsiasi, oggi, prendiamo Sergio Marchionne. Chiunque stia nell’editoria fa attingere direttamente dai social, anche se oggi un po’ meno che nel passato. Mi pare d’essere tornati a quando, anni fa, gli editori misero in piedi la free press, firmando la propria condanna a morte. Ecco una cosa bella di questi youtuber...
D. Una cosa bella degli youtuber?
R. È che non comprano più le sigarette a nessuno ma anzi, aspettano che gli editori vadano da loro a chiedere. Il parricidio è completato, come si dice in psicanalisi. Resta la delusione...
D. La delusione?
R. Di vedere questa conquista oggettiva sprecata a cazzo di cane – ma lei scriva in un modo diverso, mi raccomando! – nella superficialità, senza l’afflato dell’approfondimento.
Questi non leggono libri, giornali, neanche quelli online, non guardano la tv, si nutrono di un interscambio superficiale, pieno di errori e sciocchezze. Non a caso sono nate qui le sciee chimiche...
D. E il chip nella nuca...
R. Perfetto. I vaccini che fanno venire l’autismo.
D. Lo vede che la manipolazione è dietro l’angolo?
R. Però siamo stati sempre manipolati, diciamo la verità. Si dice che le Br lo fossero, lo sono gli ultrà, da 3-4 lazzaroni. Oggi, grazie alla rete, abbiamo più strumenti per difenderci. Il web è il mondo, non la sua interpretazione. E quindi ci sono anche qui malfattori, ladri, maniaci sessuali. Se avessi un figlio piccolo, non ce lo lascerei solo davanti al pc o allo schermo di uno smartphone.
D. Prima si faceva così, coi cartoni e la tv.
R. Sì e non era una grande cosa, ammettiamolo. Ma diciamo che era un rischio contenuto. E non dico solo per il sesso o cosa, ma per la totale deficienza di alcuni, totalmente mancanti di cervello. Il pericolo sono loro.