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 2016  agosto 31 Mercoledì calendario

Frontalieri, la fuga degli italiani oltreconfine per pagare meno tasse e per aver una vita migliore

Vanno lì a comprarsi la casa e le medicine di fascia C, a cominciare dal farmaco che combatte l’impotenza. Perché la differenza di prezzo oltreconfine, è irresistibile. Sono i triestini, cioè gli italiani di Trieste sempre più in fuga nelle città della Slovenia. Sesano, Comeno, Divaccia, Erpelle-Cosina: ecco le zone dove si decide di acquistare e andare ad abitare. Ma non a lavorare e nemmeno a studiare o a farsi ricoverare. Perché l’ufficio, la fabbrica, la scuola, la chiesa e l’ospedale restano in Italia dove si è nati. Almeno in mille (negli ultimi dieci anni) gettate alle spalle le antiche ostilità, hanno traslocato nella vicina Repubblica. Motivo? I prezzi delle abitazioni (e degli immancabili giardini) sono molto più convenienti rispetto a quelli dell’Italia, nonché liberi da tasse e dall’inutile burocrazia made in Italy.

Il fenomeno migratorio è cominciato nel 2004 quando l’ingresso della Slovenia nell’Unione europea ha liberalizzato il mercato immobiliare, stimolando così molti triestini a vendere la casa per ri comprarla oltre la frontiera. Sesana attira il grosso degli italiani che scelgono di fare i pendolari con Trieste. Subito dopo viene Capodistria. I dati li fornisce il Primorski Dnevnik: quotidiano del Litorale (pubblicato a Trieste) della minoranza di lingua slovena del Friuli-Venezia Giulia. Stando al giornale, dal 2004 al 2015 si contano 526 triestini che hanno spostato la residenza nel circondario composto da Sesana, Comeno, Divaccia e Erpelle-Cosina. Altri 231 (stando alle autorità di Lubiana) si sono trasferiti nell’unità di Capodistria e Ancarano. Sommando, si arriva a 750 unità: cento in più degli italiani iscritti all’Aire dopo aver spostato la residenza nella fascia confinaria slovena, come dicono le statistiche del Comune di Trieste.

Si dirà: in fondo parliamo di cittadini che si sono semplicemente trasferiti a mezz’ora di macchina dal centro di Trieste e che continuano a mantenere il lavoro in Italia, dove gli stipendi sono più alti. Il lavoro dunque, ma anche il legame con i parenti e gli amici, almeno fino alla pensione. E poi? Poi resteranno la casa e magari la prole (che sono niente meno che le radici) in terra straniera. Poco importa che Trieste, così all’estremo Nord Est italiano, sia affetta da un bipolarismo atavico: italiani, sì, ma diversi dagli altri. Ma nel senso che i triestini sono più italiani degli altri italiani, perché come diceva Umberto Saba: «Il figlio di una terra di confine vive la propria nazionalità con una passione che i suoi connazionali stentano a capire, sicché egli, deluso nel suo amore che non gli sembra mai abbastanza corrisposto, finisce per considerarsi il vero e legittimo rappresentante della sua nazione, più di coloro per i quali essa è un dato pacificamente acquisito». Cosa dire allora se Sesana, con le sue villette ultramoderne immerse nella natura carsica, diventa la città più gettonata dai triestini? In quella unità amministrativa (comprese le frazioni minori di Lokey e Duttogliano) gli italiani di Trieste sono ormai il 2 per cento della popolazione.

Ambita anche la zona di Capodistria: nel 2014 i novantacinque triestini iscritti ai registri sloveni sono più che raddoppiati, per attestarsi ai 231 dell’anno scorso. Lasciano l’Italia per avere la casa a costi accettabili. Minore la spesa a metro quadro, più basso l’affitto, niente tasse. Anche la burocrazia è più snella e i servizi funzionano. Per non parlare della spesa: gli euro che spendi per riempire mezzo carrello in Italia, bastano per colmarne uno intero in Slovenia.

Qualche anno fa, questo piccolo fenomeno migratorio ha messo preoccupazione nelle comunità slovene, tanto che nel 2011 una petizione popolare ha chiesto al governo di Lubiana di limitare l’apertura del mercato immobiliare. Motivo? Si temeva un’alterazione della cultura locale e una “gentrification” con conseguente aumento dei prezzi. Il mercato della casa è rimasto libero. E la migrazione continua. Anche la lingua non è un problema: i dipendenti pubblici sloveni sono disponibili a parlare in italiano. Sia nel circondario bilingue di Capodistria, sia a Sesana dove gli impiegati parlano in italiano nonostante non sia un obbligo.

Oltreconfine la casa e oltreconfine la farmacia: in Italia le medicine non rimborsabili, ossia quelle di “fascia C”, costano il doppio che in Slovenia. Vale soprattutto per l’anticoncezionale, per la pillola contro l’impotenza e per gli ormoni per la fecondazione assistita. Così, in attesa di comprare casa e fare il pendolare in Italia, c’è chi diventa frontalieri della ricetta.