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 2016  agosto 31 Mercoledì calendario

«Il tennis? Non lo odio più». Intervista ad André Agassi, che ora sprona i genitori a dare subito una racchetta in mano ai bambini

«Non c’è motivo per cui l’Italia non possa avere grandi campioni di tennis». Andre Agassi è tornato e approfitta della sua presenza agli US Open per difendere il tennis dai sospetti di doping, ma anche per dare una sveglia al nostro Paese: «Se farete le cose giuste, siete pieni di talento che potrà riportarvi in alto». 
Agassi, che cosa ci fa al torneo del Grande slam di New York, dieci anni dopo aver abbandonato il tennis?
«Sono venuto per lanciare un’iniziativa di beneficenza. Io con la mia fondazione ho creato un programma chiamato “Summer of a Lifetime”, per aiutare i ragazzi a prepararsi all’esperienza dell’università. Con me collabora la Lavazza, che nell’ambito di questo programma donerà un dollaro per ogni caffè venduto agli US Open. Le cose che insegniamo con «Summer of a Lifetime» non si imparano sui banchi della scuola, ma fanno la differenza nelle vite dei giovani studenti in termini di opportunità».
Questa iniziativa ha segnato anche il suo ritorno agli Open, dopo dieci anni: quindi ha smesso di “odiare” il tennis?
«Da tempo. Ora apprezzo molto l’opportunità che ho avuto».
Come è cambiato il tennis da quando lei ha smesso?
«Un po’ come tutti gli altri sport: atleti più grandi, forti e veloci. Io pensavo di aver rivoluzionato il tennis, ma i movimenti che vedo fare ora dai nuovi campioni sul campo sono incomprensibili per me. L’attività è diventata molto più scientifica».
Questa trasformazione ha alimentato anche il sospetto del doping. È possibile essere così veloci e forti senza certi aiuti?
«Se imbrogli ora ti prendono. La Wada, un ente esterno responsabile dei controlli antidoping, fa test continui. Devi essere reperibile 24 ore al giorno e anche se vai su un’isola deserta con la tua famiglia possono raggiungerti».
Nella sua autobiografia “Open” lei ha ammesso che aveva usato crystal meth, un’anfetamina. Come era riuscito a nasconderlo?
«Prima di tutto devo chiarire che non avevo preso una droga che potenziava le mie capacità, ma una che le riduceva e mi danneggiava. Poi non ero riuscito a nasconderlo: mi avevano preso, ma la cosa era stata insabbiata, perché allora l’organo che faceva i controlli era interno al mondo del tennis, come nel campionato americano di baseball. Oggi non sarebbe più possibile, perché il sistema dei test è cambiato. Poi si gioca tutto l’anno, attraversando i confini di molti Paesi: quelle non sono sostanze che prendi il mercoledì e poi il lunedì sono fuori dal tuo corpo».
La Sharapova è stata squalificata: che ne pensa?
«La conosco bene: non posso credere che lo abbia fatto di proposito. Quello che aveva da perdere era molto di più di quello che aveva da guadagnare. La sostanza in questione era stata appena bandita, penso che non lo sapesse».
Quindi i tennisti sono diventati davvero più forti e veloci?
«Sono diventati più intelligenti. Quando io giocavo mi prendevano in giro perché avevo un entourage tipo Madonna, dicevano che ero arrogante come una diva. In realtà tutte le persone che mi seguivano avevano un ruolo: il preparatore, l’allenatore, eccetera. Il loro compito era garantire che fossi pronto al momento del match. Ora tutti i grandi campioni usano questi metodi e sono diventati atleti migliori dei miei tempi».
L’anno scorso agli Open femminili c’era stata una finale tutta italiana. Un caso raro, tra gli uomini poi sono decenni che l’Italia non produce grandi talenti. Secondo lei perché?
«Non c’è ragione per cui l’Italia non dovrebbe avere grandi campioni. Non conosco nel dettaglio cosa state facendo per sviluppare i talenti, ma so che se offriste loro il sostegno di cui hanno bisogno, li faceste viaggiare e giocare sulla terra rossa, i risultati arriverebbero. Negli Stati Uniti ci sono dei motivi precisi per la carenza di talenti: il gioco è cambiato, abbiamo troppi campi in superfice dura e un programma per i giovani che fino a poco fa non esisteva e sta appena partendo. Anche in Australia o in Gran Bretagna ci sono alcune ragioni che frenano lo sviluppo. In Italia no, non esistono queste condizioni negative di partenza. Non capisco il motivo dei vostri problemi».
Lei cosa ci suggerisce di fare?
«Dovete cercare di mettere la racchetta in mano al maggior numero possibile di bambini, farli cominciare da piccoli e farli crescere sulla terra rossa, come peraltro è nella vostra tradizione. Poi dovete farli viaggiare, abituarli a giocare in tutta Europa, spingere la federazione a offrire tutto il sostegno di cui hanno bisogno per svilupparsi. Se questo succederà, avete la popolazione e il talento per tornare a produrre grandi campioni di tennis».