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 2016  agosto 31 Mercoledì calendario

Ritratto di al-Adnani, il regista del terrorismo in Occidente

Alberto Negri per Il sole 24 Ore
È stato ucciso ad Aleppo Abu Mohammad al-Adnani, portavoce dell’Isis, braccio destro del Califfo Abu Baqr al-Baghdadi, il regista del terrorismo in Occidente, ritenuto l’ispiratore dei “lupi solitari” che hanno insanguinato l’Europa, considerato il ministro della Propaganda dello Stato Islamico, in una posizione che dai servizi occidentali viene accostata a quella di Josef Goebbels nel Terzo Reich hitleriano. Un paragone che può sembrare esagerato ma forse non lo è poi così tanto dal punto di vista operativo e ideologico: è stato Al Adnani ad annunciare per primo nel 2014 la nascita del Califfato, in anticipo sul ben noto discorso di Baghdadi a Mosul, ed è stato ancora lui a delineare già due anni fa la strategia dei “lupi solitari”. 

In occasione dell’ultimo Ramadan Al Adnani aveva incitato a colpire, ovunque fosse possibile, militanti, seguaci e anche solo simpatizzanti, che pure non avessero legami diretti con il Califfato, fornendo un “format” del terrorista “fai da te”, con una sorta di copertura religiosa e ideologica per agire. Ma il suo primo appello al terrorismo diffuso risale al settembre del 2014, quando sulla rivista dell’Isis “Dabiq” scrisse, rivolto a tutti i musulmani: “Se non siete capaci di trovare una bomba o una pallottola, di spaccare la testa ai crociati con una pietra, di accoltellarli o di travolgerli con la vostra automobile, di soffocarli o avvelenarli... allora date fuoco alle loro case, alle loro auto o alle loro imprese” . Un messaggio ripetuto più o meno con le stesse parole anche di recente, in questa estate di sangue che ha funestato l’Europa, dalla Francia alla Germania. 
Che sia stato ucciso ad Aleppo e non Iraq è significativo. Adnani, supervisore del fronte esterno, non solo coordinava i combattenti in Occidente ma sembrava non doversi neppure preoccupare della segretezza. Anzi, all’opposto. Più era trasparente e più era facile per chi lo ascoltava mettere in pratica le sue direttive. Dall’accoltellamento con un’ascia come in Germania, a un camion-ariete come a Nizza. Ma già stava guardando oltre. Secondo alcune ricostruzioni Al Adnani aveva già iniziato a pensare al momento in cui l’Isis avrebbe potuto essere sconfitto sul terreno, ovvero stava studiando come creare una quinta colonna in Europa. 
Il Nord-Est della Siria è per i jihadisti l’area di addestramento ideale, un ponte sul confine turco verso l’Europa. Del resto da cinque anni questa è la meta agognata dei foreign fighters: è il “nostro” Afghanistan da monitorare. L’uccisione di Al Adnani ad Aleppo conferma che questa è ancora considerata dallo Stato Islamico in ritirata la zona chiave dove potersi riorganizzare come gruppo terrorista e non solo di guerriglia.
Figura sfuggente quanto quella di Al Baghdadi - benché di lui circolino diverse fotografie - con una taglia di 5 milioni di dollari sulla sua testa, Adnani era già scampato a un raid nel gennaio di quest’anno, nel quale però sarebbe rimasto soltanto ferito. Secondo il comando congiunto iracheno, aveva perso molto sangue e sarebbe stato operato d’urgenza in un ospedale. Il messaggio odierno dell’agenzia stampa dell’Isis afferma che Adnani “ha subito il martirio mentre coordinava le operazioni per respingere la campagna militare contro Aleppo”. E segue la minaccia di una vendetta ma non si dice nulla del suo ruolo nell’organizzazione dove comunque aveva scalato le gerarchie fino ai vertici. 
Al Adnani era considerato il siriano più potente nel movimento terroristico, indicato persino come possibile successore del Califfo Baghdadi. Era un veterano del jihad ma forse due fattori ostacolavano la sua ascesa ai vertici: la nazionalità siriana e il fatto di non appartenere al nucleo di Al Qaeda in Iraq, che aveva dato poi origine allo Stato islamico. 


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Giordano Stabile per La Stampa
Forse sono stati i cacciabombardieri Rafale degli «sporchi francesi» dai lui tanto odiati, persino più degli americani, a mettere fine ai giorni su questa terra di Taha Subhi Falaha, conosciuto purtroppo in tutto il mondo con il suo nome di battaglia, Mohammed al-Adnani.
Gli «sporchi francesi» erano stati indicati dal portavoce dell’Isis come primo obiettivo da colpire in Occidente nell’offensiva che doveva costringere gli Stati della coalizione a guida statunitense a piegarsi, e a smettere di bombardare il Califfato. In quel discorso, del 22 settembre 2014, poche settimane dopo i primi raid sulla Siria, Al-Adnani aveva posto le basi ideologiche e organizzative della nuova ondata terroristica culminata nelle stragi del 13 novembre 2015 a Parigi e nell’offensiva «del Ramadan» di questa estate. Guerra totale, contro soldati e civili allo stesso modo, e anche contro i musulmani che non si schieravano con il Califfo.
Il Califfo Abu Bakr al-Baghdadi aveva messo nella mani di questo siriano della provincia di Idlib due cardini della sua strategia. La propaganda, soprattutto sul Web, che doveva innescare attacchi terroristici, ma anche una grande emigrazione, hijira, dei musulmani occidentali verso il Califfato. E la guida dell’Amn al-Kharij, cioè i Servizi segreti esterni, con il compito di destabilizzare le nazioni nemiche. Il perché di tanta fiducia si spiega con il fanatismo di Al-Adnani, che Al-Baghdadi ha conosciuto probabilmente durante la Seconda battaglia di Falluja, alla fine del 2004. L’allora venticinquenne siriano dopo aver aderito ad Al-Qaeda nel 2000, si era spostato in Iraq a seguito l’intervento americano del 2003, e aveva giurato fedeltà al sanguinario capo di Al-Qaeda in Iraq, il giordano Al-Zarqawi. Era rimasto nella città assediata dai Marines fino all’ultimo. Era stato poi arrestato dalle forze irachene e, detenuto per due volte dagli americani. Un percorso fotocopia di quello di Al-Baghdadi.
Con Al-Baghdadi Al-Adnani ha anche condiviso il grande colpo della primavera del 2013. La nascita dello Stato islamico in Iraq e Siria, l’Isis. Un vero golpe all’interno di Al-Qaeda, organizzato dal Califfo con un pugno di stretti collaboratori, ora quasi tutti morti, come anche l’altro suo Delfino, Omar al-Shishani, il ceceno a capo delle operazioni militari interne al Califfato, ucciso in un raid in Iraq nel marzo scorso. Il ceceno e il siriano erano i due volti della spietatezza del Califfo. All’interno stragi di minoranze etniche, di «infedeli», esecuzioni sommarie, metodi militari nazisti. All’esterno una propaganda martellante e il terrore nella strade delle capitali europee.
L’appello lanciato da Al-Adnani il 22 settembre 2014 invitava a uccidere gli infedeli degli Stati della coalizione, americani, australiani, canadesi, e soprattutto «gli sporchi francesi», «senza chiedere il parere o il permesso a nessuno», con qualunque mezzo: «Fracassategli la testa con una masso, investiteli con le vostre auto, sgozzateli con un coltello» se non avete «armi da fuoco».
Un invito alla jihad totale, senza mediazioni di imam o altri leader. Il «dovere» di ogni musulmano che viveva in Occidente. In quelle comunità Al-Adnani vedeva il punto debole dell’Europa. I Servizi esterni, l’Amn al-Kharij, da lui guidati erano composti quasi al completo da foreign fighter, soprattutto belgi e francesi. Mentre lanciava i suoi appelli Al-Adnani organizzava il gruppo di fuoco di Abdelhamid Abaaoud. Una supercellula con basi operative fra Bruxelles e Parigi, alimentata e guidata attraverso i viaggi di Abaaoud da Raqqa all’Europa via Turchia. L’Amn al-Kharij è riuscito così a far strage a Parigi il 13 novembre 2015, e poi a Bruxelles il 22 marzo 2016. Al-Adnani, ferito in Iraq a gennaio 2016, non era però riuscito a indebolire la coalizione, mentre il Califfato perdeva un pezzo di territorio dopo l’altro. Una nuova ondata di attentati veniva lanciata con un altro discorso fiume, il 21 maggio. Era il discorso «del Ramadan», l’invito ai lupi solitari a colpire durante il mese sacro, perché «il raccolto vale doppio» in quei giorni di digiuno e preghiera. È arrivata la strage di Nizza del 14 luglio. Ma anche la resa dei conti per Al-Adnani.