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 2016  agosto 31 Mercoledì calendario

Breve storia della mappa, da Colombo a Google

Da Colombo agli smartphone Simon Garfield ricostruisce la storia dello strumento fondamentale per orientarsi nel mondo. E per capire quale posto occupiamo
La parola “mappa” è di origine punica. Nell’antichità indicava un panno di lino usato come tovaglia o tovagliolo, oppure quale copricapo. Solo più tardi diventa un termine in uso presso gli agronomi inteso a rappresentare graficamente una zona di terreno, una superficie piana. Oggi cosa intendiamo con la parola “mappa”? La prima cosa che viene in mente è lo strumento che i possessori di smartphone usano per orientarsi in una città, o il navigatore installato nelle automobili, il TomTom, diventato indispensabile a molti per raggiungere località sconosciute.
L’idea di mappa è molto mutata, ci spiega Simon Garfield nel suo libro Sulle mappe (Ponte alle Grazie). Nel 2010 uno degli stagisti di Facebook, Paul Butler, attingendo dal database della azienda, aveva preso la latitudine e la longitudine degli utenti e le aveva collegate con le coordinate dei loro contatti in corso. All’epoca Facebook contava circa 500 milioni d’iscritti, e Butler supponeva che ne sarebbe risultato un pasticcio, un fitto groviglio di fili. Invece ne scaturì una trama dettagliata del mondo, in cui si leggevano piuttosto bene le forme dei continenti. Non rappresentava, come nelle mappe tradizionali, coste, fiumi, confini, nazioni, bensì relazioni tra esseri umani.
In un’intervista appena precedente Mark Zuckerberg aveva detto che la sua creatura non era l’ennesima comunità virtuale, quanto «un modo per mappare tutte le varie comunità che esistono nel mondo». Ha dunque ragione Garfield quando all’inizio del suo libro sostiene che le «mappe ci offrono una chiave per capire le basi della natura umana». Questo è stato vero sin dalle origini della civiltà umana. La Mappa mundi babilonese, tavoletta d’argilla custodita al British Museum (600-550 a. C.), una delle più antiche mappe che possediamo, mette al centro il proprio mondo: Babilonia si trova «in un mare circondato da sette cerchi senza nome, che possono essere città o paesi, a loro volta cinti da un oceano chiamato Fiume Amaro, in cui sfocia l’Eufrate».
Per quanto le mappe svolgano una funzione pratica d’orientarci nel mondo, evidenziano nella loro rappresentazione prima di tutto l’idea che chi l’ha realizzata possiede del rapporto tra gli uomini e gli déi, tra gli uomini e il mondo che li circonda, tra gli uomini e le forme di potere dominanti. Le prime mappe che Garfield ci mostra, quasi tutte disegnate in epoca medievale, o poco dopo, non sono concepite per uno scopo pratico, o almeno non servivano per viaggiare, rappresentavano invece sotto forma di raffigurazione «temi filosofici, politici, religiosi, enciclopedici e concettuali»; né più né meno come quella disegnata con l’aiuto del computer da Paul Butler nella sede di Facebook. E le mappe usate dai navigatori, a partire da Cristoforo Colombo e Amerigo Vespucci, cosa servivano? Per procedere all’esplorazione del mondo, ovvero per conquistarlo e per portare in Europa le grandi ricchezze che si supponeva ci fossero nel Nuovo Mondo. Senza l’ambizione economica e di potere dei re europei, i viaggi degli esploratori non sarebbero stati intrapresi. Per arrivare a questo, c’è bisogno di una sorta di secolarizzazione delle mappe: il viaggio perde i suoi significati religiosi per assumerne altri differenti, non meno “ideologici”.
Fondamentale la meravigliosa mappa di Fra Mauro, che si trova ancora oggi nella Biblioteca Marciana di Venezia. Nel 1459 questo cartografo che lavorava nell’isola di Murano eliminò dal suo planisfero il Paradiso. Solo con la morte del luogo mitico cominciano i viaggi di Colombo e degli altri navigatori. Centodieci anni dopo Gerardo Mercatore, nato nelle Fiandre, crea la proiezione del mondo; grazie a una formula matematica trasferisce sul piano la forma curva del mondo: la svolta isogonica manipola gli anelli della latitudine per intersecarli con i meridiani formando angoli retti. Rettificando il mondo, Mercatore lo rese percorribile. Il pensiero strumentale aveva vinto una delle sue fondamentali battaglie, lasciando tuttavia aperta la questione su cosa sia davvero una rappresentazione.
Oggi le mappe di Google Map hanno invecchiato quelle su carta, le guide e gli strumenti tradizionali. Non rappresentano più solo il mondo visibile, ma anche quello invisibile, ben più importante per la nostra vita di relazione: Twitter Trendmaps rende in tempo reale la proiezione degli hashtag più gettonati; su Programable Web si vedono le
mash- up più popolari, come le mappe delle notizie toccate da Bbc news. Viviamo nell’epoca delle
me- mapping prodotte dai cellulari. Come nel mondo visto da Manhattan disegnato da Saul Steinberg sulla celebre copertina di The New Yorker, al centro di tutto c’è il nuovo protagonista: Io. Avere confidenza con le mappe, scrive Garfield, «significa conoscere il proprio posto nel mondo».