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 2016  agosto 31 Mercoledì calendario

Il Ttip sta per fallire

L’oceano Atlantico si è allargato. Già a corto di idee su come rilanciare la crescita, alcuni ministri europei sembrano ora pronti a bloccare le negoziazioni sul trattato di libero scambio con gli Usa, una delle poche iniziative sensate di sviluppo che l’Ue sia riuscita ad avviare in tempi recenti.
Negli ultimi due giorni il ministro del commercio francese Matthias Fekl e il ministro dell’economia tedesco, il social-democratico Sigmar Gabriel, hanno espresso giudizi durissimi contro il cosiddetto “Ttip”, dichiarando concluse le negoziazioni. Anche il presidente François Hollande ha detto che la Francia è contraria a raggiungere un accordo entro l’anno. Le smentite dei portavoce della Commissione Europea e della cancelliera tedesca Angela Merkel dimostrano che la partita è ancora aperta. Francia e Germania si preparano a importanti tornate elettorali e le dichiarazioni dei due ministri vanno lette anche in questa chiave. Ma il clima sul Ttip è diventato ormai pesante, come confermato anche da Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo economico e ardente sostenitore dell’accordo. Ad oggi, un fallimento appare sempre più probabile.
Le negoziazioni mirano a ridurre le barriere regolatrici che ostacolano il commercio tra due blocchi economici che producono quasi la metà del prodotto interno lordo mondiale. Uno studio della società di ricerca Ecorys, elaborato per conto della Commissione, ha stimato che il Ttip potrebbe aggiungere circa mezzo punto percentuale a Pil e salari europei ogni anno a partire dal 2030. Si tratta di stime prodotte per un ente favorevole al Ttip e soggette a un margine d’errore significativo. Tuttavia, anche economisti indipendenti più cauti come Richard Baldwin dell’Università di Ginevra le ritengono plausibili.
Anche in un’epoca di crescente disaffezione nei confronti del commercio internazionale, è infatti impossibile dimenticarsi i vantaggi prodotti dal libero scambio in confronto ai modelli protezionisti e autarchici. Aiutare le nostre aziende maggiormente competitive a vendere di più nella principale economia mondiale significa permettere loro di crescere e assumere nuovo personale. Se ci sarà maggiore concorrenza da parte delle imprese statunitensi in Europa, questo avverrà sulla base di standard lavorativi molto simili ai nostri. I problemi per i nostri produttori meno efficienti, che pure ci saranno, verranno in parte compensati dai vantaggi per i consumatori, che in quei settori dovrebbero ottenere prezzi più bassi e maggiore scelta.
L’importanza del Ttip, però, va oltre la sua dimensione economica e tocca la storia e la geopolitica. Solo pochi mesi fa gli Stati Uniti hanno firmato insieme a una dozzina di Paesi del Pacifico un analogo patto commerciale (Tpp). L’intesa deve essere ancora ratificata dal Congresso degli Stati Uniti, dove ha davanti un’opposizione formidabile, ma l’impressione resta quella di un mondo che prova ad andare avanti mentre l’Europa frena o, addirittura, torna indietro. Le radici dell’Unione affondano infatti nel principio del libero scambio. La Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio, antenata dell’Ue, nacque nel 1951 con lo scopo di ridurre le barriere tariffarie presenti fra sei Paesi – tra cui Francia, Germania e Italia. Ancora oggi la libera circolazione di merci e servizi è – insieme a quella di persone e capitali – uno dei pilastri dell’Ue.
Le proposte che circolano sul trattato sono perfettibili. In particolare, i meccanismi di risoluzione delle controversie fra investitori e Stati (Isds) – meccanismi extragiudiziali attraverso cui le multinazionali possono portare in giudizio i governi per mancato rispetto del trattato – vanno disegnati con cautela. Se le aziende hanno diritto a verdetti “super partes”, il rischio di abusi resta forte. Meno condivisibili sono invece le paure riguardo l’opacità delle trattative. Negoziare un accordo su pubblica piazza vuol dire renderlo impossibile. Meglio lasciare che i legislatori decidano alla fine del percorso se ratificarlo o meno.
L’obiezione più forte resta quella politica. Il sostegno per il Ttip e più in generale per il libero scambio è infatti in calo. Negli Usa, Donald Trump è riuscito a ottenere la nomination repubblicana anche grazie alle sue posizioni protezioniste. Secondo Eurobarometer, il sostegno per il Ttip nell’Ue è sceso dal 56% al 53% tra maggio e novembre 2015.
È però chiaro come, soprattutto in Europa, lo scontento popolare sia legato in larga parte a una ripresa che stenta a decollare e a un orizzonte economico che rimane incerto. Agevolare la crescita, anche attraverso scelte talvolta impopolari, è l’unica strada davvero lungimirante per ricostruire il consenso.