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 2016  agosto 31 Mercoledì calendario

La multa da 13 miliardi per Apple, tra tasse non pagate e aiuti di Stato illeciti

Addio alle «tasse morsicate», quelle che hanno permesso alla Apple di pagare solo 50 mila dollari ogni miliardo di utile (non è un refuso). In percentuale è lo 0,005 contro il 12,5% ufficiale che l’Irlanda ha usato per attirare le aziende. Dal conto, tra il 2003 e il 2014, mancano 13 miliardi di euro, 14,5 miliardi di dollari. Ed è grazie a questa differenza che Bruxelles, nella persona di Margrethe Vestager, commissario alla Concorrenza, ha imposto alla Apple di pagare i 13 miliardi arretrati dopo avere deciso, con un’inchiesta molto lunga iniziata nel 2012, che si trattava di aiuti di Stato illeciti da parte di Dublino. «Questa non è una multa ma sono tasse non pagate, è una differenza molto importante» ha detto la Vestager che ha poi aggiunto forse con un pizzico di ironia: «Personalmente mi sarei sentita in dovere di dare una seconda occhiata alla mia fattura fiscale se le mie tasse fossero scese allo 0,005%».Si tratta di gran lunga della maggiore richiesta a un’azienda nella storia della Commissione europea. La multa più alta finora era stata di 1,4 miliardi al colosso francese Edf.
Fine del giochetto fiscale del «double irish» (che peraltro dall’inizio del 2015 non si può più fare) di cui Apple è stata una delle pioniere. Riassumendo: sugli utili derivanti da un iPhone, il cui costo di manifattura in Cina è stimato sui 20 euro e il cui prezzo di vendita parte da 669 euro, la Apple in Europa (e non solo come vedremo) pagava pochi millesimi di euro.
Il vantaggio irlandese, in ogni caso, c’era ed era doppio: il primo era che le tasse sui dipendenti venivano comunque pagate in loco. Il secondo è che in questa maniera, da area depressa, l’Irlanda era riuscita ad attirare diverse multinazionali che hanno dato lavoro a 130 mila persone, il 7% in termini di occupazione.
Le reazioni (tranne, curiosamente, quella di Wall Street) si sono fatte sentire.
La più perentoria: la decisione, ha fatto sapere il Tesoro Usa, «potrebbe minacciare gli investimenti stranieri in Europa».
La più agitata: il ministro delle Finanze irlandese, Michael Noonan, ha detto di essere pronto al ricorso, dopo la richiesta di autorizzazione al governo.
La più bizzarra: «Apple dovrebbe trasferirsi in Turchia». Saremmo «felici di offrire incentivi fiscali più generosi. Non dovrebbe avere a che fare con la burocrazia Ue» ha twittato il vicepremier di Ankara, Mehmet Simsek. Pensa forse allo 0,0025%?
La più istituzionale: «Abbiamo recentemente pianificato ulteriori investimenti in Irlanda e i nostri piani non sono cambiati» ha detto Luca Maestri, cfo di Cupertino.
La più agguerrita: il chief executive officer, Tim Cook, ha fatto una vera e propria chiamata alle armi, rivolgendosi alla «comunità Apple». D’altra parte quella in corso è una guerra giocata da legali ed esperti di Fisco.
Peraltro, altra storia, alla Procura di Milano c’è aria di patteggiamento da parte degli avvocati difensori della stessa Apple.
La commissaria ha spiegato anche che una delle due società fittizie registrate in Irlanda dove Apple faceva convergere i profitti provenienti della vendita dei prodotti in Europa raccoglieva anche quelli dei mercati di Africa, Medio Oriente e India. La somma totale di 13 miliardi che Apple dovrà pagare all’Irlanda, comunque, potrebbe essere più bassa se i singoli Paesi europei dovessero fare richiesta per la quota di competenza, visto che la complessa procedura permetteva di fare transitare dall’Irlanda fatturati fatti nei singoli mercati europei. In sostanza a far cadere la Apple è stata l’ingordigia: se avesse pagato il 12,5% le tasse sarebbero risultate mezze morsicate ma legali.