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 2016  agosto 31 Mercoledì calendario

Mohammad Al Adnani è morto. Il numero due del califfato è stato ucciso ad Aleppo ma non si sa da chi

L’Isis ha perso la sua testa pensante, l’uomo che ha diretto gli attacchi in Europa, il portavoce capace di ispirare un’ondata di terrore. Amaq, l’agenzia del movimento, ha annunciato che Abu Mohammad al Adnani è morto mentre ispezionava i mujaheddin nel settore di Aleppo, Siria.
Non è chiaro per mano di chi. I russi? I ribelli? I curdi? O gli Stati Uniti che parlano di un raid contro un alto esponente jihadista ad Al Bab? La notizia è stata comunque accolta con la solita prudenza: c’è sempre il timore di una notizia falsa per scrollarsi di dosso i troppi segugi.
Dall’inizio dell’estate, dopo che Al Adnani aveva esortato a colpire durante il Ramadan e c’era stato il massacro di Nizza «in risposta al suo appello», gli americani, i russi e chiunque avesse un conto aperto con l’estremista hanno raddoppiato gli sforzi per trovarlo. Era nato un centro di coordinamento ad Amman dedicato solo al grande bersaglio, inseguito dalle spie e da una taglia di 5 milioni dollari. Un interesse connesso alla sua funzione di responsabile dell’Emni, la struttura clandestina responsabile di attentati all’estero. Le inchieste sostengono che l’attività è iniziata già tra il 2013 e il 2014, con i primi reclutamenti, l’individuazione di tattiche, rotte, per poi raggiungere il picco negli ultimi 2 anni.
Originario della provincia siriana di Idlib, il jihadista dispone di capi regionali – con una forte componente francofona – che devono gestire i rispettivi teatri. È in questa cupola che si muovono Abu Soleymane al Fransi, Fabien Clain, Abu Ahmad, il «ceceno» Chataev. Sotto di loro dei referenti che a volte si limitano a fare da tramite con i terroristi e in altre ne assumono la direzione operativa sul campo, come Abaaoud al Bataclan. Sempre Al Adnani segue la diffusione dei filmati che glorificano la lotta: un detenuto ha rivelato che presiedeva una riunione mensile dedicata solo a questo aspetto.
L’Emni agisce lungo due direttrici. La prima è quella che prevede l’infiltrazione di un commando, simile a quelli responsabili degli assalti a Parigi e Bruxelles. Sono nuclei spesso formati su base familiare. Fratelli, cugini, congiunti, amici del quartiere sono i migliori complici e il collante che li unisce a elementi inseriti in seguito, usando anche lo schermo dei profughi. Il gruppo è preparato per l’incursione, anche se è poi il «capitano» sul posto a decidere i dettagli. C’è ampia autonomia.
L’altra minaccia è rappresentata dai simpatizzanti che già si trovano nel Vecchio Continente o in altri scacchieri, i lupi solitari che tali non sono. A innescarli un discorso sul web e in alcune occasioni un contatto. Reale, ossia un complice in carne ed ossa. Virtuale, uno che se ne sta dietro un computer.
Rachid Kassim, un franco-algerino vicino ai due killer del parroco in Normandia, ha spiegato come comportarsi: «Prima fai il giuramento, quindi chiede ai fratelli di proseguire la lotta, infine agisci. Sarò io a diffondere il tuo messaggio». Quanto alle armi, Al Adnani suggerisce la soluzione più facile: «Chi non ha una pistola può usare una coltello, una pietra, un’auto». Lo seguiranno in molti. E altri sono pronti a vendicare la sua fine per rispondere ad una perdita pesante.