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 2016  agosto 31 Mercoledì calendario

L’Europa pretende dalla Apple che restituisca al governo irlandese 13 miliardi di euro, per via di un doppio accordo grazie al quale la Apple ha pagato in Irlanda tasse irrisorie

L’Europa pretende dalla Apple che restituisca al governo irlandese 13 miliardi di euro, per via di un doppio accordo grazie al quale la Apple ha pagato in Irlanda tasse irrisorie.

Ma la Apple non è americana? Tutti sanno che sta a Cupertino. Che c’entra l’Irlanda?
La Apple ha realizzato una strategia molto astuta per le sue attività all’estero. In Europa esistono una Apple Italia, una Apple Francia, una Apple Germania e così via. Queste società, in genere delle banali srl, si limitano però a vendere pubblicità e a incassare una provvigione, come se fossero dei broker indipendenti. La provvigione la paga Google Inc., cioè gli americani. Le fatture sono invece emesse da Google Ireland, che in questo modo acquisisce il diritto di farsi mandare i soldi. Senonché la base fiscale di Google Ireland è alle Brmuda e la filiale con cui opera in Europa non sta in Irlanda, ma in Olanda. La ragione di questa triangolazione Bermuda-Irlanda-Olanda è che sia in Irlanda che in Olanda non si tassano i profitti realizzati all’estero. Quindi gli utili provenienti dall’Italia – o dalla Francia o dagli Stati Uniti – sono esentasse. Nonostante questo, nel punto finale della triangolazione, cioè in Irlanda, qualcosa quelli della Apple avrebbero dovuto pagare. Ma hanno evitato anche questo qualcosa.  

Come hanno fatto?
Hanno sfruttato una legge irlandese, in base alla quale, in cambio di posti di lavoro, le tasse sarebbero state drasticamente abbattute.  

Quanto pagano le aziende di tasse in Irlanda?
Poco. Appena il 12,5% sui profitti. Ma questa aliquota, molto favorevole se paragonata a quella che applicano alle aziende Francia, Italia o Germania, è stata ridotta all’1% dal 2003 in poi, e in questi ultimi anni addirittura allo 0,005%. Apple ha restituito il favore impiegando nella sua Apple Irlanda 5.500 persone, ma Bruxelles considera in ogni caso lo sconto concesso a quelli della Mela un aiuto di stato. I soldi - dice - vanno restituiti. Fatto il conto, è uscito fuori questo 13 miliardi, che, in base alle previsioni della vigilia, avrebbe anche potuto essere un 17 o un 19 miliardi. Ricorreranno sia gli irlandesi che la società americana, sostenendo in pratica questo: che la legge irlandese delle agevolazioni fiscali in cambio di posti del lavoro non è stata pensata per la Apple, ma per qualunque azienda voglia andare a produrre in Irlanda. Dunque, se tutti possono approfittarne, non può trattarsi di aiuto di stato.  

La sentenza non tocca la triangolazione Italia (o Francia o Germania) con Irlanda e Olanda?
No, perché su quella, in base alle leggi esistenti, non s’è potuto fare fino a poco tempo fa quasi niente. Ma una controffensiva europea a quest’opera di elusione, c’è stata. Apple ha concordato con noi, per esempio, un versamento di 318 milioni che chiude un contenzioso per un’Ires evasa da 880 milioni. Ma i 13 miliardi di ieri sono soprattutto una svolta nella guerra delle tasse con le multinazionali americane. Talmente importante, che una nota del governo americano la settimana scorsa ha ammonito: «State diventando un’autorità sovranazionale in tema di tasse e così facendo minacciate gli accordi internazionali sul piano fiscale». Margrethe Vestager, commissario europeo per la Concorrenza, la politica danese (sinistra radicale) a cui si deve la sentenza dei 13 miliardi, ha risposto: «I Paesi membri non possono dare benefici fiscali selettivi ad alcune compagnie». Nell’intervento dello stato Usa bisogna forse vedere un’intenzione più sottile. Nel 2010 gli americani costrinsero tutte le istituzioni finanziarie del mondo a fornire alla loro agenzia delle entrate le posizioni fiscali dei cittadini americani residenti all’estero. Nessuno stato è però mai riuscito a ottenere che gli americani restituissero il favore. Con quella mossa, gli americani diedero un brutto colpo a tutti i paradisi fiscali del Pianeta, però allungando la lista degli stati americani che sono di fatto dei paradisi fiscali: infatti al vecchio Delaware si sono aggiunti intanto Wyoming, Nevada e South Dakota. In questo modo, per esempio la Apple, dopo aver eluso il sistema fiscale europeo, ha potuto serenamente depositare 200 miliardi di dollari di liquidità nella sussidiaria Braeburn Capital, che sta in Nevada. Gli Stati Uniti, in pratica, lavorano per trasformarsi nell’unico paradiso fiscale al mondo, un modo furbo per attrarre capitali immensi. Le grandi multinazionali tengono ancora alle Bermude o alle Cayman 2.100 miliardi di dollari. Apple, pur di non toccare i 200 miliardi che ha in cassa, ha preferito emettere un bond da 12 miliardi per pagare i dividendi agli azionisti.  

Non c’è mica solo la Apple che fa la furba.
Per carità. Tutte le multinazionali hanno una politica fiscale che si basa sull’evitare le tasse sfruttando le normative esistenti. Amazon e Google sono quelle che resistono di più. I francesi, per piegare Google (che per ora non sente ragioni), gli hanno mandato i finanzieri negli uffici a sequestrargli montagne di documenti.