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 2016  agosto 30 Martedì calendario

«Webeti». Mentana spiega come ha sistemato gli idioti del web

«Webeti». Bisogna conoscerlo Enrico Mentana, per sapere che è sincero: «Ma quale parto geniale? Ma quale neologismo? Il post era stato addirittura cancellato». Però i webeti... «Se qualcuno non avesse fatto uno screenshot, il nuovo, fantastico vocabolo si sarebbe disperso nella rete in un nanosecondo, e nessuno se ne sarebbe nemmeno accorto». Invece il webete screenshottoso... «Il bello è che c’entrate anche voi di Libero, e la polemica sul titolo di Feltri». Molti webeti. «Hai presente questo tipo di discussioni nel web? Uno ti attacca su una cosa. Tu gli rispondi. Poi arrivano altri due come se venissero da Marte. E ti riattaccano sullo stesso tema o su un altro. Poi si inserisce un terzo tema e ti fa: “Ma lei, però Mentana...”. Tu hai risposto sul terzo tema è lui ti attacca sul primo». E lei, Mentana? «E tu a un certo punto non ce la fai più e gli scrivi: “Lei è un webete”. Poi spegni il computer, te ne vai a dormire e ti senti meglio». Webete, webete, webete... «Tecnicamente non l’ho inventato io: si è inventato lui, da solo. Io l’ho solo definito». Il webete. Allora chiedi ad Enrico cosa si prova ad essere padre battesimale di una nuova parola che entra nel vocabolario. E lui: «Ma quale vocabolario, Luca? Non esiste più! Webete è una sciocchezza che Twitter ha trasformato in una boutade». Avevi abbandonato i webeti, e adesso ti incensano. Il ghigno di Enrico, tale e quale a quello di Crozza che imita Mentana: «Ah-ah, ah-ah... Un buon motivo per starne alla larga!».
Io, ovviamente, la mitragliata lessicale neologistica a Enrico gliela invidio. Primo perché senza Twitter non so stare. E poi perché il web è webete, o popolato da webeti, ma anche terribilmente utile e veloce. Gianni Brera ci ha messo un decennio per secernere un lemma, o un nomignolo (tipo “Rombodituono”). Giampaolo Pansa ci ha impiegato una carriera per trasformare la “Balena bianca” in una cosmogonia letteraria. Poi arriva lui e con un click inventa il webete, che poi è la tecno-evoluzione del cretino funzionale. Ha ragione Mentana: il webete esisteva prima che lui lo nominasse, ma in principio c’è sempre il verbo. Il webete tormentava anche me, implacabile con quello stile petulante che vorresti menarlo. Invidio Giuseppe (Cruciani), che ha inventato uno stile cordialicaustico per trattare i suoi detrattori: «Ciao Caro», «Stai bene amore», «Bacio!». Se poi sono cozze livorose aggiunge leggiadro: «Sei bellissima, cara». Quelli lo coprono di improperi, e lui li prende sonoramente per i fondelli.
Temo che ognuno di noi abbia i suoi webeti, dei veri poltergeist che lo tormentano con furia metodica e inspiegabile dandosi – in questo compito – il progetto cronologico dell’eternità. Sembrano fotocopiati, invece sono un sedimento collettivo, un flagello, ad essere ottimisti un costo della democrazia. Pensano di essere spiritosi. Pensano che tu ti ti arrabbi se loro ti ingiuriano. Pensano di avere diritto. E che tu sia tenuto a gratificarli dell’odio di cui ti fanno oggetto. A non reagire, altrimenti diventi «...lei è arrogante e maleducato!». Faccio un paio di esempi. Nel 2014 feci un tweet forse un po’ incauto e cazzeggione sul mercato della Roma (prima degli infortuni di Strootman e di Castán, ero di buon umore, mai twittare con ironia): «Sabatini ha costruito tre rose da Champions!». Sono passati quasi tre anni, e la setta degli webeti juventini ha portato questo tweet a 380mila visualizzazioni. Crescono ogni giorno. All’inizio i webeti non alfabetizzati commentavano «Telese chi?». Adesso scrivono: «Luca, parlaci delle tre rose di Sabatini! Ah ah ah». Il webete, pensando di diffamarmi, mi fa pubblicità. A volte rispondo con un fatto notorio, è facilmente verificabile nella mia biografia: «Guarda che io sono del Cagliari». Ma il webete juventino retwittante non è abituato a questo grado di complessità: «Ti schieri sempre con i più forti, eh?». I più forti?. La logica non abita i loro intelletti.
Poi c’è il webete grillino, che mi retwitta una specie di strofa costruita dalla rete che semplifico così: «Telese, marito di Laura Berlinguer, sorella di Bianca Berlinguer, moglie di Luigi Manconi, nipote di Sergio Berlinguer». I webeti me la girano con tono irato e mi fanno: «Come ti difendi?». Geniali. Da cosa mi dovrei difendere? Cosa dovrei ammettere? Che ho una moglie? Che mia moglie ha una sorella? Che siamo tre giornalisti? E che ho anche un senatore semicognato? Che c’è anche Sergio Berlinguer che io purtroppo (altro ramo di famiglia) non ho mai conosciuto in tutta la mia vita? Questi mi divertono assai. Al webete grillino provo a rispondere – a seconda degli umori e del tempo – che non mi pare così mostruoso o strano innamorarsi della propria anima gemella nel mondo in cui si lavora (immaginate: «Orrore! Lui e lei fanno entrambi il macellaio!»). Gomblotto. Il webete grillino vede una grande spectre e mi accusa di essere «servo del Pd», perché il mio quasi cognato Luigi, con cui litigo – con soddisfazione reciproca – da un decennio sulla politica (grande affetto ma difficile avere un’idea in comune tra noi), è senatore del Partito democratico. Sergio Berlinguer, per dire, a quel che so, è sempre stato di centrodestra. Ma il grillo-webete ama l’equazione basica per lobotomizzati: se il cognome è lo stesso, di sicuro la pensano uguale. Geniali.
Per non parlare del webete piddino. Recentemente, su Twitter, ho spiegato perché sono convintamente a favore del “No” sul referendum costituzionale. Il pd-webete ulula: «Servo a cinquestelle!». «Amico di Brunetta!». «Sguattero di Gasparri!». Al che ho scritto – sempre su Twitter – a Brunetta, e telefonato a Gasparri con cui ho litigato ferocemente in tv: «Ti rendi conto? La prima volta che siamo d’accordo su qualcosa!». Il webete è stato utile, da solo non ci avrei mai pensato.
Il webete è un odiatore seriale, tendenzialmente sottoacculturato, non ha storia, non capisce la storia, non ha memoria, non conosce la dimensione verticale, vive in un presente immanente e sempre tragico, ha bisogno di semplificazioni banalizzanti, è credulo, ha bisogno di toccare “il vip” e di ingiuriarlo, agisce nel semianonimato del web con un rabbioso senso di onnipotenza. Non sai come disinnescarlo. Ti perseguita. Ha tempo da perdere. È feroce. Ti copre di ingiurie e contumelie. Finché non ho scoperto l’arma finale. Tranquilli. Non è un’arma da fuoco. Basta scrivere: «Mi mandi il tuo numero di telefono a luca@lucatelese.it? Ti chiamo e ti spiego».
Magìa. Il webete si dissolve come Dracula alla luce dell’alba. Per questo io amo i Lettori. Anche quando sono polemici, infatti, sono cognitivi e conoscono i congiuntivi. Non è poco. Ma lo avrei capito così chiaramente senza l’aiuto del webete mentaniano?