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 2016  agosto 29 Lunedì calendario

La ricostruzione secondo Renzo Piano. Intervista

«Il presidente del Consiglio mi ha chiamato all’ultimo momento, venendomi a trovare voleva discutere con me sulla ricostruzione. Non mi ha dato un incarico, non era questo lo scopo. Anche se, come senatore a vita, oltre ad occuparmi di periferie potrei dare un contributo sul dopo-terremoto. Da me Matteo Renzi voleva dei consigli, una visione, un aiuto per un grande progetto. Gli ho detto: ci vuole un cantiere che impegni due generazioni. E con un respiro internazionale, contributi dal mondo intero». Renzo Piano mi parla al telefono da Genova, poco dopo l’incontro alla sua Fondazione con il premier. Spiega che questa volta l’emergenza va inserita subito in una visione lunga, che rimedi ai terribili errori d’imprevidenza che hanno causato troppe tragedie.
Quali suggerimenti ha dato lei al premier per l’immediato, gli interventi urgenti?
«Per i sopravvissuti che hanno perso le case bisogna operare con cantieri leggeri, che non allontanino le persone dai luoghi dove abitavano. Non tendopoli ma edifici leggeri, vicinissimi, che si potranno smontare e riciclare in seguito. Abbiamo parlato di una visione non-partisan, che possa essere condivisa da tutti a prescindere dagli orientamenti politici. E di una visione internazionale, che ispiri un disegno di lunga portata. L’emergenza come primo tassello strettamente inserito in un progetto di lungo termine».
Quanto vasto il progetto? E di che durata parliamo?
«Parliamo di tutta la dorsale degli Appennini, la spina dorsale dell’Italia da Nord a Sud. Parliamo di un intervento progettato su 50 anni e su due generazioni. Parliamo di contributi internazionali anche perché la straordinaria bellezza dell’Italia non appartiene solo a noi, è un patrimonio dell’umanità. Abbiamo ereditato una natura meravigliosa, generazioni di nostri antenati dall’Antica Roma all’Umanesimo l’hanno addomesticata, ingentilita, noi a volte siamo stati crudelmente inadeguati».
Un editoriale del New York Times promuove la nostra protezione civile ma ci accusa di imprevidenza imperdonabile nella prevenzione, “tragica impreparazione in uno dei paesi più sismici del mondo”. Tra gli ostacoli alla ricostruzioni ne elenca tre: mancanza di risorse, corruzione, leggi troppo complicate.
«Sono giudizi che purtroppo ci tocca sentire dal mondo intero, le stesse cose vengono dette in queste ore dai tedeschi o dagli inglesi. Si aggiungono alla sofferenza che provo per le tante vite sacrificate, per le famiglie distrutte. Voglio per smentire subito almeno un luogo comune, quello sulla mancanza di risorse. No, le risorse ci sono eccome. È evidente che il Patto di Stabilità europeo consente flessibilità straordinarie per calamità atroci come questa, quando sono in ballo le vite umane, la sicurezza nazionale».
Nel concreto, di che cosa avete parlato con Renzi sul versante economico?
«Ovviamente si deve agire subito, con urgenza massima, per mettere a norma antisismica gli edifici pubblici. Ma la stragrande maggioranza sono privati. E non puoi costringere i privati se non hanno le risorse. Qui però si sa come intervenire: incentivi, sgravi fiscali, come già fatto nel campo energetico. Bisogna anche sapere intervenire nei passaggi generazionali, quando la casa dei nonni passa in eredità, e una nuova generazione può essere più motivata a fare lavori di ristrutturazione. Deve entrare in modo permanente nelle leggi del paese, l’obbligo di rendere antisismici gli edifici in cui viviamo, così come è obbligatorio per un’automobile avere i freni che funzionano. Sul lato economico, non dimentichiamo poi che tutti i soldi spesi sono investimenti che generano ricchezza: oltre a salvare le vite umane danno lavoro a tante imprese, spesso micro-imprese, talvolta addirittura cantieri di auto-produzione familiare».
In quanto alle tecnologie da utilizzare, la sua personale esperienza in questo campo è ormai antica. Lei ha progettato e costruito edifici in alcune delle zone più sismiche del pianeta, dalla California al Giappone.
«È da 40 anni che mi occupo di questi temi. L’architettura e l’ingegneria degli edifici hanno seguito un questo campo un’evoluzione notevole, con delle analogie sorprendenti con la medicina. Quando parlo di cantieri leggeri, il primo che usai fu 40 anni fa ad Otranto. L’uso della diagnostica – un termine preso proprio dalla medicina – ci consente di risparmiare e al tempo stesso raggiungere la massima efficacia, senza infierire crudelmente sugli abitanti. La termografia consente di conoscere lo stato di salute dei muri, come di un corpo vivente, senza interventi invasivi. Questo permette di rendere gli edifici più sicuri, preservando i centri storici, rispettando l’attaccamento alle case antiche, quel fortissimo rapporto affettivo che fa parte della nostra storia, della nostra natura umana, della nostra identità».