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 2016  agosto 24 Mercoledì calendario

La Russia è stata esclusa dalle Paralimpiadi. Polemiche

La delusione e la rabbia di 267 atleti paralimpici cancellati in un solo colpo ieri pomeriggio dai Giochi di Rio, fa da malinconica colonna sonora a una nuova clamorosa frattura tra la Russia e il mondo occidentale. La decisione del Tas di Losanna di confermare l’esclusione della rappresentativa di Mosca dalle Paralimpiadi che cominceranno il 7 settembre, in seguito alle accuse di doping di Stato raccolte dalla Wada, è esplosa ieri come un affronto «cinico e disumano» rivolto a tutto il Paese «e a tutti i disabili del mondo» come diceva senza mezzi termini il presidente del comitato paraolimpico russo Vladimir Lukhin, esperto ex ambasciatore negli Stati Uniti.
Mentre rimbalzano ovunque le dichiarazioni disperate e le storie personali di atleti bloccati a un passo dall’appuntamento della vita, la Russia governativa decide di alzare il livello dello scontro. Il comitato investigativo di Mosca apre subito un’inchiesta nella quale teorizza un complotto a sfondo politico e chiama a testimoniare in Russia sia il presidente della Wada, Craig Reedie che il dottor Richard McLaren, autore del rapporto che ha rilevato la «totale partecipazione di apparati dello Stato alla copertura degli atleti dopati». Il sanguigno ministro dello Sport Vitalj Mutko, frenato in precedenti occasioni da Putin in persona, ha finalmente carta bianca e annuncia la sospensione dei contributi che la Russia versa all’organizzazione che controlla e punisce i casi di doping. Perfino il cauto e filo occidentale premier Dmitrij Medvedev si lancia in un lungo e articolato atto di accusa su facebook paragonando i criteri del comitato parolimpico a quelli di Andrej Visjnsky, il famigerato giudice protagonista del Terrore staliniano.
Tra le righe, la rabbia e la sorpresa vengono spiegate anche con la assoluta intransigenza del comitato paraolimpico. Sulla base delle stesse accuse e delle medesime prove raccolte, il Cio si era limitato a vietare i Giochi olimpici di Rio alla sola federazione di atletica. L’ordine del Cremlino era stato, sin dall’esplosione dello scandalo, di non sollevare polveroni e cercare compromessi. La mazzata inferta alla squadra paraolimpica viene intepretata come uno sproposito. Le tv ripercorrono le storia del dossier Wada. E sottolineano come tutto nasca e si fondi sui racconti di un “pentito”, quel Grigorij Rodchenkov, direttore del laboratorio antidoping di Mosca, adesso fuggito negli Stati Uniti. «Feccia umana» lo definisce senza giri di parole Medvedev nel suo intervento sui social.
Il senso di accerchiamento che prende i russi per la decisione divampa davanti alle lacrime sincere di campioni disabili come i nuotatori Dmitrj Kokarev e Olesia Vladykna medaglie d’oro a Pechino, la judoka Tatiana Savostianova, le pongiste Elena Livtinenko e Olga Gorshkaleva. Particolarmente toccante l’intervista alla tv Rtl di Elena Gorlova, ex tuffatrice rimasta paralizzata per un grave infortunio: a Rio avrebbe gareggiato in sedia a rotelle nel lancio del disco e nel getto del peso. Singhiozzando davanti alla telecamere si è rivolta al presidente della federazione internazionale, Philip Craven: «Entrambi siamo disabili. Lei capisce quello che sto provando. Perché togliermi questa occasione?». E l’indignazione cresce. Oltre centomila firme di protesta sono state raccolte in poche ore. Il manager del pugile professionista Aleksandr Povetkin, peso massimo molto amato in Russia, si è detto disponibile a finanziare qualunque genere di ricorso legale. Il dubbio che ci siano pesanti responsabilità governative nell’affare doping, non sfiora nessuno. La portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova non ha dubbi: «Il doping va combattuto ma quello che è stato commesso oggi è un crimine».