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 2016  agosto 24 Mercoledì calendario

Non si trova un piano per salvare Mps

Nonostante il rimbalzo del titolo in Borsa nelle ultime due sedute comincia a serpeggiare diverso scetticismo sul piano di ristrutturazione di Mps presentato a fine luglio e che prevede un aumento di capitale da 5 miliardi da effettuarsi sul mercato. Gli investitori internazionali stanno infatti constatando che le banche italiane sono sempre più considerate un tallone d’achille a livello mondiale, citate per ben due volte nell’ultima riunione di luglio della Federal Reserve per «il forte declino delle loro azioni», colpa anche delle «preoccupazioni sulla qualità del loro portafogio di prestiti». Si aggiunga che le valutazioni delle banche europee, ma non solo, sono scese a livelli molto bassi negli ultimi mesi, addirittura sotto i valori del 1991. Dunque gli investitori che vogliono comprare titoli bancari hanno oggi un’ampia possibilità di scelta a prezzi molto concorrenziali, mentre il Monte, con un aumento da 5 miliardi che va ad azzerare il patrimonio esistente, verrà offerto a un multiplo di circa 0,5 volte il patrimonio tangibile che è un livello a cui trattano istituti molto più in salute (leggi Intesa Sanpaolo). Un’ulteriore tegola è poi caduta sulla testa del management la settimana scorsa, con l’apertura da parte della procura di un’inchiesta per falso in bilancio e manipolazione del mercato con relativi avvisi di garanzia. Un atto dovuto per i vertici di Siena ma che in questa fase così delicata non aiuta, soprattutto quando si chiedono al mercato tanti soldi senza un nuovo piano industriale.
Di tutto ciò sono consapevoli le principali banche che compongono il consorzio di pre-garanzia dell’aumento, a partire da JP Morgan che ha fornito il suo supporto anche a un prestito ponte da 6 miliardi in cambio di laute commissioni. Sul mercato si dice che queste siano pari al 4,75% sull’aumento di capitale e al 6% per il prestito ponte, in totale quasi 600 milioni di “fees” che ingrasserebbero i bilanci delle banche del consorzio. Le stesse banche, però, sarebbero pronte a sfilarsi se l’esito del referendum costituzionale previsto in autunno sarà tale da mettere in difficoltà il governo Renzi o se nella fase di pre marketing la risposta degli investitori fosse giudicata troppo fredda. Ecco perchè, secondo quanto risulta a Repubblica, il consorzio capeggiato da JP Morgan e Mediobanca starebbe cercando un “anchor investor”, un investitore con credibilità internazionale che metta sul piatto da solo un bella cifra per Mps e riduca così l’ammontare di capitale da chiedere al mercato. In pratica si sta andando nella direzione del piano che aveva pensato (ma non era riuscito a presentarlo al board) Corrado Passera insieme a Ubs, che prevedeva un aumento di 2,5-3 miliardi di cui una gran parte veniva garantito da investitori del private equity (si dice americani) pronti a investire fino a 2 miliardi. Mentre la restante parte della ricapitalizzazione (fino a 6,6-7 miliardi) sarebbe arrivata per un miliardo dalla conversione di obbligazioni subordinate, per 1,5 miliardi con l’utile 2017 e per 1,6 miliardi con l’apporto di capitale del fondo Atlante. Non si può escludere, dunque, che Passera e Ubs a un certo punto possano tornare in gioco mentre alcuni investitori londinesi non si spiegano perchè Renzi non voglia prender di petto la situazione e procedere a un bail-in controllato in cui tutti i titoli subordinati (per circa 5 miliardi) vengano convertiti in azioni Mps, come prevedono le nuove regole europee, garantendo fin da subito il rimborso del capitale ai risparmiatori che non gradissero questa soluzione. Ma forse a Londra si sottovaluta la variabile politica.